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Data: 01/02/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il Presidente e la scena vuota dell’opposizione

La sera prima che assassinassero suo fratello Piersanti, allora presidente della Regione Sicilia, cenavo con i compagni del liceo - come ogni sabato - alla pizzeria Astoria di via della Libertà, a Palermo, proprio sotto casa dei Mattarella. Il pomeriggio dopo ci tornai per vedere, sul limitare della zona recintata dagli agenti, la Fiat blu crivellata di colpi. Partecipai con tutta la mia classe ai funerali in cattedrale, ignaro che sarebbero stati i primi di una infinita sequenza di esequie di Stato per vittime della mafia che ormai sono nei libri di storia. Lutti nazionali a cui assistevo impotente, come la maggioranza dei miei concittadini, prima da studente e poi nel corso degli anni da cronista. Per chi non ha vissuto quella stagione, forse è difficile capire quale carica civile e passione possano animare anche un timido e schivo rappresentante della borghesia palermitana, come Sergio Mattarella, nel momento in cui abbraccia una missione come la politica.
Ecco, il neo Presidente si è distinto per pudore e asciuttezza: non ha mai brandito la croce che è toccata a lui, fratello di Piersanti, come a tutte le famiglie colpite dalla ferocia di Cosa Nostra, per diventare un professionista dell'antimafia.
Così li chiamava Leonardo Sciascia, nel momento in cui li vedeva imboccare la scorciatoia del potere sfruttando meriti (veri o presunti) sul campo di battaglia della legalità. Ma questo essere figlio di una trincea ha segnato indelebilmente Mattarella, facendone uomo mite ma di confine, che lo marca e lo caratterizza. Lo ha fatto da democristiano, schierandosi tante volte anche su materie controverse. Non stupisce così che - molti anni più tardi - quel confine si sia tradotto in una legge elettorale a sua firma che sull'onda referendaria del '93 ha partorito il bipolarismo della Seconda Repubblica: il cosiddetto Mattarellum. Lo strumento che nel '94 ha battezzatto l'esordio politico di Berlusconi.
Difficile immaginare perciò, al di là di un carattere timido e riservato, la presidenza Mattarella come umbratile o notarile, di quelle che lasciano il Quirinale su un Colle appartato a cui arriva l'eco flebile dei problemi del Paese. Mattarella ha fatto attivamente politica per tre decadi e abbiamo ormai imparato che il ruolo di Capo dello Stato forgia i settennati, quasi a prescindere dalle caratteristiche di chi ne ricopre la carica. Che presidente sarà lo diranno solo i fatti e i problemi che si affacceranno durante il mandato, più che la carta d'identità dell'eletto.
Avrà di sicuro messo nel conto anche questa lezione Matteo Renzi che di Mattarella è stato il grande elettore. La sua strategia risulta vincente su due tavoli: quello di leader del partito (che ha momentaneamente ricompattato) e di capo del governo che tiene in pugno le redini dei giochi parlamentari. Potrebbe riportare vittoria anche sul più accidentato fronte delle riforme, se riuscirà a non subire contraccolpi dallo spappolamento di quell'opposizione di centrodestra che finora gli ha consentito di varare il primo tratto della nuova architettura istituzionale: dalla legge elettorale (l'Italicum) al nuovo Senato (senza poteri) fino alla riscrittura del titolo V della Costituzione (i poteri di Regioni e Comuni).
Renzi ha scartato di colpo dal binario del cosiddetto Patto del Nazareno contratto con Berlusconi. Marginalizzando così il ruolo del leader di Forza Italia e decretandone l'irrilevanza parlamentare nel momento in cui il centrodestra si è diviso tra le truppe moderate di Alfano che pur tra molti travagli hanno votato Mattarella e quelle forziste che si sono spaccate tra i ribelli di Fitto (38 voti a favore del neopresidente) e le cento schede bianche di pura testimonianza.
E veniamo così al dato più allarmante, per la fisiologia democratica, di questo passaggio. Con il suo centinaio di schede bianche Berlusconi ha fotografato la marginalità del suo partito: appena il dieci per cento dei mille elettori che si sono pronunciati per il Colle. Un conteggio che dimostra come il dividendo politico dell'operazione Nazareno sia vicino allo zero dopo quasi un anno di percorso.
Il voto per il Colle ha mostrato insomma a tutti che il re è nudo. E cioè che il Cavaliere non riesce più a condurre l'ex vasto fronte del centrodestra. Ma soprattutto che oggi in Italia non esiste un'opposizione degna di questo nome che possa igienicamente fare da contraltare al governo, preparandone l'alternativa. Così, il ritagliarsi un ruolo da padre nobile da parte di Berlusconi che tempo fa sarebbe stato un gesto generoso per favorire un ricambio e la salvezza del blocco elettorale che in vent'anni aveva costruito, oggi sta diventando un passo obbligato per garantire al popolo dei moderati una prospettiva politica e un futuro.
Il tempo stringe. Del resto, non è difficile prevedere che, una volta incassata la legge elettorale, davanti all'eventuale impossibilità di approvare le riforme, Renzi potrebbe essere indotto ad attendere l'anno in corso per beneficiare con il Paese degli auspicabili effetti di una ripresina che sembra alle porte, per andare quindi al voto nella primavera dell'anno prossimo. Per quella data ci sarebbe un'opposizione già pronta?

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