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Pescara, 24/11/2024
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Data: 01/02/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Dagli spari di Cosa nostra alla Corte la lunga traversata di Sergio il Calmo. Il legame con il fratello Piersanti, ucciso dalla mafia nel 1980, e la lunga militanza nella sinistra Dc di De Mita

Felpato, silenzioso, composto. Rigoroso, sobrio, schivo. Qualcuno preferisce sintetizzare in una parola gli aggettivi cuciti addosso a Sergio Mattarella: democristiano. Definizione corretta eppure parziale – l'antropologia dc è ricca di esemplari anche opposti – di quel galateo politico e personale che il neopresidente della Repubblica non ha mai dismesso, come la quadratissima montatura vintage degli occhiali, capace di aggirare miracolosamente quattro lustri di politica dominati dalle leggi dell'apparenza.
L’ATTENTATO

Non sono però gli stucchi di Palazzo o le stanze di partito ad aver battezzato la carriera politica di Mattarella. Né basta lo stato di famiglia a spiegarne la vocazione: figlio di Bernardo, tra i fondatori della Dc e a lungo dominus dello Scudo crociato in Sicilia, Sergio aveva scelto la carriera accademica, docente di Diritto Parlamentare a Palermo dopo la laurea in Giurisprudenza a Roma. Succede invece tutto per strada, nella natìa Palermo, e nelle condizioni più distanti dall'indole del personaggio. Racconta tutto una foto. La scatta Letizia Battaglia e, anno 1980, ritrae Mattarella mentre estrae da un’auto il corpo martoriato del fratello Piersanti, presidente della Regione ucciso dalla mafia. È un passaggio di testimone: toccherà al fratello proseguire l'opera di Piersanti, a rinsaldare un legame familiare già raddoppiato dal matrimonio dei Mattarella junior con due sorelle. Dal matrimonio con Marisa Chiazzese, scomparsa di recente, verranno tre figli, il primogenito con il nome del nonno.
Militante della corrente di sinistra della Dc e uomo di fiducia del segretario Ciriaco De Mita, viene investito di una missione rognosa: commissario del partito a Palermo, per svecchiare e scrostare un ambiente dove si muovono notabili di bronzea annosità e collusi a vario livello. Nel 1987 è ministro per la prima volta, nel governo Goria, ai Rapporti con il Parlamento. I problemi sono quelli di sempre: «Un giorno e mezzo di lavori per legiferare è troppo poco», dice commentando l'agile orario di lavoro dei parlamentari della Repubblica. Da ministro della Pubblica Istruzione introduce il doppio maestro alle elementari. Già rispolverata sui social network l’adesione alla crociata contro la tappa italiana del tour di Madonna: «Offende la religione».
Mattarella insomma non alza mai la voce, ma combatte e non poco. Nel 1989, mentre il congresso Dc si avvia a porre fine alla stagione di potere demitiano, Giampaolo Pansa lo va a trovare nel suo ufficio e in un lungo ritratto-intervista gli intesta due soprannomi: Sergio il Calmo e Sergio il Tenace. Lui, dal palco delle assise, a sconfitta ormai consumata, viene sommerso da una ovazione mentre cita le Lamentazioni della Bibbia contro gli avversari interni: «Hai rallegrato a tuo danno il nemico, hai aumentato la forza dei tuoi oppressori». Le sacre scritture, da cattolico praticante, sono una delle letture predilette. Con Francesco Cossiga, all'epoca al Quirinale, polemizza a colpi di Ecclesiaste. Velenosissimi gli incroci con i socialisti e con Claudio Martelli in particolare. «Il silenzio esprime meglio il disgusto», dice quando il delfino di Bettino Craxi cita una vecchia relazione parlamentare del comunista Pio La Torre per gettare ombre sul curriculum anti-mafia del padre Bernardo.
L'immagine di Mattarella pare disegnata apposta per screditare l'iconografia del democristiano beghino e ipocrita, quella consacrata dall'episodio di Ugo Tognazzi ne I mostri o da Elio Petri in Todo modo, feroce parodia del moroteismo. Nel suo caso, la sobrietà sembra più che uno stile: la residenza in via della Mercede, l'amore per i gatti, le predilette vacanze in montagna, una tiepida passione per il Palermo e una pure più tiepida per l’Inter. Gira ancora con una vecchia Lancia Trevi del 1982 quando esplode il caso più volte ricordato in questi giorni.
LA LETTERA

Nel 1990, insieme ad altri cinque ministri della sinistra Dc, Mattarella si dimette in polemica con la legge Mammì sulle tv. Un regalo a Silvio Berlusconi, per i dissidenti. Della vicenda si sa tutto. Rivelante il dettaglio svelato nelle sue memorie da Mino Martinazzoli, che era tra i cinque: Mattarella ha in mano le lettere con cui i ministri certificano il loro dissenso dal governo. Deve portarle al presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Si avvia verso l'uscio, poi si ferma e chiede prudentemente agli altri: «Ne abbiamo fatto una copia?». Non l'avevano fatta.
Gli anni di Tangentopoli non risparmiano a Mattarella un avviso di garanzia per violazione del finanziamento pubblico ai partiti. Si dimette da tutti gli incarichi e l'intoppo, dal quale esce pulito, non ferma la riforma della legge elettorale da lui firmata. Il Mattarellum è la lapide sulla Prima Repubblica ma pure su quel che resta della Dc. Stretto tra la sinistra postcomunista e il centrodestra berlusconiano, il Partito popolare italiano – nuovo nome della Dc – si frantuma in due tronconi. Mattarella ovviamente va a sinistra. Tornerà ministro nei governi dell'Ulivo: da titolare della Difesa vara l'abolizione della leva obbligatoria e gestisce la concessione delle basi per i bombardamenti in Serbia. Più avanti – già lontano dalla politica attiva - sarà tra i padri fondatori del Partito democratico, prima dell’elezione alla Corte costituzionale.
Di elezioni di presidenti della Repubblica ne ha vissute tante da tessitore. Una su tutte. Il feroce scontro interno Andreotti-Forlani, nel 1992, prima delle bombe mafiose e dell’elezione di Oscar Luigi Scalfaro. A giochi ancora aperti raccomandava: «Serve un presidente che non sia né opaco né inerme». Quelli che gli hanno parlato in queste ore, dai vecchi amici di corrente ai suoi giornalisti all’epoca in cui dirigeva Il Popolo, giurano che non ha cambiato opinione.

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