ROMA Una Panda, per sfidare l’anti-politica. Un format minimalista - perfino in un momento in cui dovrebbe gridare: urrà con o senza capriola di gioia e invece regala a se stesso e agli altri sorrisi impercettibili come segno di goduria misurata e non altisonante - che contiene il primo vero messaggio alla nazione. Ovvero che «l’anti-politica si può battere a cominciare dai comportamenti personali e dall’impegno a migliorarci tutti». E dunque, tra le auto blu della Consulta avrebbe potuto scegliere una berlina per il suo primo giorno, in giro per Roma, da presidente che non ha ancora giurato. E invece, la Panda grigia alla Bergoglio - il Papa ce lo vedrebbero tutti benissimo a bordo di questa macchinetta - lo porta dal suo studio di giudice costituzionale a casa della figlia Laura a Piazza delle Belle Arti.
IL SORSETTO
Ed è lì, davanti alla tivvù, che con i sei nipoti, la vedova di suo fratello Piersanti, i tre figli e qualche amico, il quasi presidente assiste allo spoglio a Montecitorio. La conta arriva a 505, è fatta, e a quel punto Mattarella chiude teneramente gli occhi e tace ma già taceva prima, e gli altri non si lanciano in una pazza danza e sprofondano invece in due minuti di silenzio allibito, in una paralisi delle emozioni. Poi un nipotino dice con una moderata punta di enfasi: «Nonnooooo». Qualcuno fa cadere una lacrima, altri si abbracciano. Lui, che è un trattenuto, è in piedi: statuario e insieme morbido perchè non è un freddo. Un altro nipote: «Nonno, un brindisi?». Lui: «Ma nooo». «E dai, nonno!». «Però, veloce. Ho molto lavoro da fare». Spunta una bottiglia di champagne, non di marca, tenuta nascosta nel frigo, e la famiglia Mattarella si concede qualche sorsetto. E poi si rivedrà a cena, con l’aggiunta dei figli di Piersanti arrivati da Palermo, ma il clima è più quello della concentrazione spirituale - «E’ un Paese in cui bisogna ricucire il rapporto tra la politica e la società» - che quello della vittoria di una squadra che si è battuta allo stremo per il risultato raggiunto. «E’ un onore che non mi sono cercato», ribadisce Mattarella: il che è vero. Ma forse è vero anche, e qui scendiamo di livello, ciò che il leggendario Squalo, al secolo Vittorio Sbardella, andreottiano super-local, diceva della sinistra Dc: «Vonno la stessa cosa che volemo noi, il potere. Solo che, prima, piangono». Mattarella non ha pianto prima e non esulta ora. Arriva in Panda alla Consulta, saluta i suoi collaboratori in una stanza, una di loro gli dice «complimenti di cuore» e lui: «Tanto restiamo vicini di casa, il Quirinale è qui di fronte e vi saluterò con la mano». Il Quirinale? «E’ un palazzo che mi starà largo», dice nel suo stile low profile che non trasuda distacco ma esprime un interiore lavorio di tipo moroteo e un filo di soave tristezza ben portata di cui fa parte anche il continuo ricordo della moglie scomparsa nel 2012. E al quale egli dedica il suo primo pensiero da neo-presidente.
RINGRAZIAMENTI
Nella sala in cui sta aspettando l’arrivo della Boldrini che gli comunica l’elezione, risponde al telefonino più volte e a tutti quelli che lo ringraziano risponde con una parola, talvolta ripetuta due volte al massimo: «Grazie». Oppure: «Grazie, grazie». Quando lo chiama Alessandro Pajno, storico collaboratore e forse segretario generale del Quirinale, Mattarella aggiunge qualcosa di più: «Grazie, Sandro». Ma ecco la Boldrini e la Fedeli, che guida il Senato per conto di Grasso. «Presidente - gli dicono - questo è stato il riscatto della vergogna del 2013. Quando non si riuscì ad eleggere il presidente e ci furono le proteste in piazza». Quando poi Mattarella pronuncia le prime parole scarne del settennato («Il mio pensiero va alle speranze e alle difficoltà dei cittadini italiani»), è evidente che il presidente eletto dai partiti non sta ringraziando loro ma si rivolge direttamente agli italiani. E’ già l’annuncio di uno stile? Magari sì. E quando più tardi - altro giro in Panda - alle Fosse Ardeatine parlerà del terrorismo internazionale? E’ un modo per empatizzare con le paure degli italiani, e degli europei, derivanti dall’esplosione del mondo.
Lo chiama Renzi per congratularsi. E il rapporto con il premier è già in nuce in questi ragionamenti del neo-presidente. «Da una parte c’è il governo - ha spiegato Mattarella ad alcuni amici - che ha bisogno di celerità decisionale e di ritmi moderni, perchè si deve adeguare alla società che cambia; e dall’altra parte, ma si procede insieme, c’è la presidenza della Repubblica che deve rappresentare la continuità tra passato e futuro in un quadro di garanzia costituzionale». Quanto poi alla distanza antropologico-culturale tra i due presidenti, Mattarella non appare affatto preoccupato: «Tanti amici spesso più giovani di me - e anche suo figlio Bernardo Giorgio, stretto collaboratore del ministro Madia - in questi mesi mi hanno illustrato bene il nuovo progetto del Pd. Ma io, adesso, devo pensare al Paese».