Quella di ieri è stata una grande giornata politica: un nuovo presidente della Repubblica che ha tutte le qualità necessarie per essere l'arbitro della partita quotidiana tra i tre poteri costituzionali (legislativo, esecutivo, giudiziario) e tra le parti politiche, ciascuna con una propria visione del bene comune.
Oltre questo ruolo arbitrale il Capo dello Stato ne ha anche un altro di uguale importanza: garante della Costituzione, che può certamente essere emendata dal Parlamento ma non stravolta; emendata nelle leggi di attuazione, ma non nei principi, per cambiare i quali sarebbe necessaria una nuova Costituente o un organo straordinario del tipo della Bicamerale, capace di considerare nel loro complesso i mutamenti proposti.
Infine rispetta anche una funzione paternale di tutela dei deboli, dei poveri, degli esclusi e delle minoranze culturali e politiche affinché la battaglia anch'essa quotidiana che si svolge sia adeguata ad una democrazia e non si trasformi in regime autocratico in cui chi conquista il potere lo esercita di solito con l'unico intento di mantenerlo e di rafforzarlo. Questi sono gli elementi principali che configurano nel nostro Paese il ruolo del presidente della Repubblica.
Il passato e il carattere di Sergio Mattarella confermano che il nuovo Presidente corrisponde perfettamente al ruolo che la Costituzione gli assegna, come testimonia la visita alle Fosse Ardeatine come primo atto del nuovo settennato. Esser stato eletto con il voto di due terzi dei "grandi elettori" conferma che la figura di Mattarella è stata apprezzata da un'ampia maggioranza dei rappresentanti del popolo sovrano e fa emergere in modo inconfutabile le qualità del Partito democratico e del suo leader.
Matteo Renzi che ne ha deciso la candidatura e ne ha guidato il percorso fino alla vittoria finale. Renzi era consapevole che il suo candidato non sarebbe stato un suo burattino insediato al Quirinale solo per assecondare le sue finalità politiche, ma una persona dotata dell'autonomia necessaria a far rispettare le prerogative che la carica gli attribuisce. Un Capo dello Stato insomma che proseguirà al vertice delle istituzioni l'esempio dato da Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano e in particolare degli ultimi due che si sono trovati al vertice della struttura istituzionale in una fase particolarmente agitata della vita pubblica ed economica italiana, europea e internazionale. Quella fase purtroppo è ancora in corso e quindi questa scelta era ancor più necessaria.
Un Presidente sopra le parti e mai sopra le righe: così l'ha definito Mario Monti e così sarà. Domenica scorsa, anticipando le previsioni sul voto di ieri, scrissi che se la scelta del candidato al Quirinale (che Renzi non aveva in quel giorno ancora compiuta) fosse stata sbagliata, la colpa sarebbe ricaduta sulle sue spalle, se fosse stata giusta suo sarebbe stato il merito. Il risultato è sotto gli occhi di tutti ed anche il merito di Matteo Renzi e del Partito democratico che ha compattamente seguito.
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Gli effetti positivi dell'iniziativa di Renzi non riguardano soltanto la scelta di Mattarella, una candidatura che non sarebbe stata cambiata in nessun caso, ma anche la compattezza del Pd, obiettivo non facile da realizzare. In numerose precedenti occasioni Renzi aveva trascurato di perseguire quella compattezza, anzi aveva pubblicamente screditato i dissidenti alimentandone l'animosità nei suoi confronti. Questa volta invece ha scelto contemporaneamente due obiettivi: la vittoria di Mattarella e la compattezza del Pd. È anche vero che se quella compattezza non ci fosse stata la vittoria di Mattarella sarebbe diventata molto aleatoria, il che significa che i due obiettivi erano interconnessi.
L'intelligenza politica di Renzi è stata quella di capire quella interconnessione e di agire in conseguenza. I dissidenti si sentivano non già una corrente di minoranza del partito, quale numericamente erano; bensì come "separati in casa", quindi con uno statuto del tutto diverso. I separati in casa sono due coniugi con vite e finalità diverse ma che non hanno però cessato di convivere in parità di diritti tra loro. E Renzi in questa vicenda così li ha trattati; sapeva che la convivenza sarebbe durata solo scegliendo un candidato di loro gradimento. L'elenco dei graditi (anche a Vendola e agli altri gruppi di sinistra) erano Prodi e Mattarella. Altri candidati non li avrebbero accettati ed avrebbero fatto il possibile per farli fallire. Non si trattava di negoziare, queste posizioni dell'una e dell'altra parte erano state pubblicamente dichiarate e hanno portato alla vittoria di Mattarella, di Renzi e della sua sinistra.
La domanda che ora si pone è: restano "separati in casa" o la compattezza si estenderà ad altri campi, a cominciare dalle riforme? E da quali riforme? La risposta a tale quesito a mio parere è questa: l'elezione del Capo dello Stato è un evento particolare, le riforme debbono essere messe su un altro piano. È dunque probabile che sulle riforme il dissenso tornerà, ma il comportamento delle parti in causa sarà diverso, si parleranno, cercheranno di gettar ponti tra loro e arrivare a compromessi condivisi. Se non ci riusciranno, terranno comunque comportamenti prudenti che non mettano in discussione la rottura del partito. In pratica non si può ignorare che c'è stato in questa occasione uno spostamento politico del Pd verso sinistra; ora si tratta di consolidarlo. In che modo? Personalmente penso che il terreno di verifica dovrà essere non soltanto ma soprattutto l'Europa.
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Man mano che il tempo passa si rende sempre più evidente la necessità d'arrivare ad un'Europa federata, con un bilancio unico, un debito sovrano unico, una politica estera e della difesa uniche, una politica dell'immigrazione unica. Questa deve essere l'Europa del domani, che del resto il trattato di Lisbona esplicitamente indica come indispensabile meta in una società globale dove le parti a confronto non sono più gli Stati nazionali ma interi continenti. Questo obiettivo si scontra con molti ostacoli, il primo dei quali è un ritorno di fiamma dei nazionalismi e il secondo è il malanimo dei governanti che non vogliono spogliarsi di poteri essenziali come quelli sopra elencati e preferiscono esser protagonisti d'una confederazione piuttosto che scendere di rango in una federazione.
Renzi finora non ha fatto alcun passo verso la federazione, ha la scusante d'essere sulla stessa linea degli altri governanti a cominciare dalla Germania e dalla Francia, e non parliamo della Gran Bretagna. Ma questa dovrebbe essere appunto l'azione della sinistra italiana a cominciare da quella del Pd: cambiare la sinistra europea per cambiare l'Europa. Da questo punto di vista paradossalmente Tsipras può essere un elemento d'una partita estremamente complessa, della quale la colonna portante è Mario Draghi.
C'è però un altro obiettivo della sinistra che sta dentro e anche fuori del Pd: impedire l'abolizione del Senato sia nel ruolo sia nel reclutamento. Anche questa è una battaglia di fondo che deve impedire che il potere esecutivo, cioè il governo, indebolisca a proprio favore le capacità di controllo del potere legislativo. Che l'esecutivo debba essere rafforzato e che la Camera abbia da sola il potere di esprimere la fiducia al governo, questo va benissimo; ma fare del Senato una sorta di supporto non del federalismo ma dei consigli regionali, è uno scherzo di natura della divisione dei poteri, cioè dello Stato di diritto.
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Il patto del Nazareno esiste ancora, Renzi ne ha bisogno, ma fino a un certo punto. Per fare le riforme? Dovrebbe e potrebbe farle con una sinistra di nuovo e più moderno conio. Ma c'è anche Alfano da considerare, che aveva riscoperto i suoi legami con Forza Italia. È strano: Alfano ha fondato un partito per dare rappresentanza a una destra nuova, liberale ma non demagogica e populista. Purtroppo non è un trascinatore, forse dovrebbe allearsi con Passera e cercar di attrarre quella parte di elettori berlusconiani che vorrebbero appunto una destra "repubblicana". L'alleanza con Renzi finora Alfano l'ha vista attribuendosi un ruolo conservatore, non liberale. Questo è stato il suo errore. In realtà è ormai in un vicolo cieco come anche Berlusconi. Vicoli ciechi, strade senza sbocco e senza elettori.
Il Pd ha dinanzi a sé una prateria: creare una nuova sinistra riformatrice in Italia e in Europa, un socialismo liberale. La vera cultura - l'ho scritto molte volte ma ancora lo ripeto perché oggi è il giorno adatto - è quella del socialismo liberale che è stato il lascito culturale e politico del partito d'Azione. Se avessi la bacchetta magica farei sì che il Pd fosse un partito d'Azione di massa. Vi sembrerà strano, a voi che mi leggete, ma questo negli ultimi anni della sua vita breve fu anche l'idea di Enrico Berlinguer. È stato eletto al Colle un antico democristiano di sinistra. Ebbene, è con Aldo Moro che si accordò Berlinguer. Pensateci bene e pensateci tutti.