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Data: 05/02/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Renzi: nessuno vuole il voto alla fine Silvio non si smarca. La guerra delle quattro bande tra intrighi, blitz e vendette

ROMA La quarta maggioranza è in cottura. I numeri per far passare le riforme costituzionali quando torneranno al Senato sono tali da far dormire sonni tranquilli a Matteo Renzi. Alla Camera la situazione è blindata mentre a palazzo Madama ai 168 senatori che conta la maggioranza sono pronti ad aggiungersi gli ex grillini.
LA STRATEGIA

Probabilmente non tutti i diciassette ex M5S, ma sicuramente oltre la metà di loro sono disposti a votare una riforma che, ponendo fine al bicameralismo paritario, taglia i costi della politica. Senza contare il gruppo Gal e una manciata di senatori azzurri di stretta osservanza verdiniana, pronti ad assumere il ruolo di ”responsabili”. In buona sostanza, al voto anticipato non vuole andare nessuno. Tantomeno FI, che pur avendo indossato ieri i panni dell’opposizione dura e pura, si è guardata bene dall’invocare le elezioni. Le maggioranze a fisarmonica di Renzi, sempre più consistenti dopo l’elezione del Capo dello Stato, spiegano il fuoco di fila di dichiarazioni, non proprio tenere, fatte dagli uomini più vicini al presidente del Consiglio per commentare la ”fine” del patto del Nazareno annunciata da Toti non senza qualche titubanza. Renzi è convinto che non sia finita qui. «Da qui a martedì c’è tempo», spiegava ieri il premier ai suoi. Al Rottamatore poco cambia se il patto sia «rotto» o solo «congelato», importa invece la sostanza politica di una forza politica che a suo giudizio difficilmente si tirerà fuori dal percorso delle riforme che ha già approvato in uno dei due rami del Parlamento.
In effetti, dopo una mattinata da psicodramma, Berlusconi colloca il partito nel ”mondo di mezzo” respingendo - come primo atto della riunione dell’ufficio di presidenza ristretto - le dimissioni dei due capigruppo. Sia di quello che ha sempre avversato il patto del Nazareno (Brunetta), sia di colui che lo ha sostenuto con forza (Romani). In buona sostanza un ”ni” al patto del Nazareno che alla fine mette d’accordo tutto il cerchio magico anche se Verdini resta su un fronte e la Rossi su un altro. Fuori resta solo Fitto, escluso dalla riunione e quindi pronto ad attaccare la linea del partito contestandone soprattutto i vertici. Non a caso il primo a non credere che il patto del Nazareno sia finito è proprio l’ex ministro pugliese che, annunciando l’avvio di una sorta di campagna elettorale contro il governo, tenta di spostare FI su una linea più intransigente.
COLLOQUIO
Malgrado sia consapevole della tensione dentro FI, Renzi non vuole dare tregua al Cavaliere. Rinserrata l’intesa con Alfano nel corso di un colloquio chiarificatore a palazzo Chigi, il premier ha chiesto al capogruppo Speranza di lavorare per riprendere subito a Montecitorio l’iter della riforma costituzionale. A FI Renzi concede poco tempo per «leccarsi le ferite». Martedì si ricomincia a votare alla Camera e giovedì Berlusconi riunirà i gruppi per decidere cosa fare al momento del voto finale.
D’altra parte, il presidente del Consiglio è convinto che sia difficile per Forza Italia votare ”no” alle riforme e alla legge elettorale solo per aver ricevuto un presunto sgarbo da parte di un «birichino» al momento del voto per Sergio Mattarella. Lo sconto di pena, l’invito al Quirinale e la possibilità che il 3% resti nel decreto fiscale, sono argomenti che neppure Fitto può infatti trascurare. Senza Berlusconi Forza Italia non esiste e l’azzurro Osvaldo Napoli centra il problema quando parla di «crisi del centrodestra nel suo complesso». Il Ncd di Alfano e tutta l’Area popolare si sono infatti ricompattati sulla linea di palazzo Chigi, mentre la Lega di Salvini intende marcare ancor più le distanze dai centristi sbarrando loro la strada ad ogni tipo di alleanza in vista delle regionali. Veneto compreso. Una spaccatura che avvantaggia Renzi insieme alla presunta fine del patto del Nazareno che toglie molte munizioni alla sinistra del Pd.

La guerra delle quattro bande tra intrighi, blitz e vendette

ROMA Silvio Berlusconi finge di rompere il Patto del Nazareno, Matteo Renzi finge di credere che il leader forzista lo stia rompendo davvero. E intorno a loro, dentro Forza Italia, esplode tutto e impazza la guerra per bande. Quelli e quelle del Cerchio Magico, guidato da Maria Rosaria Rossi (e con Francesca Pascale in regia), per fare fuori i fittiani e per mandare un messaggio ai verdiniani (abbiamo tante truppe in Parlamento e contiamo più di te) partono in quarta per arrivare a un ufficio di presidenza del partito che sia ristretto. Così finiscono fuori i seguaci del leader pugliese.
PROTESTE

Ma più lo stringi quell’organismo di guida politica di una forza in cui l’unica guida politica è o era Berlusconi, e più chi ne deve uscire protesta e si impunta. Anche se non si tratta di fittiani, ma di personalità come Antonio Martino (candidato di bandiera azzurra al Quirinale) e del suo fidato Giuseppe Moles o figure fuori dagli schemi correntizi come Michaela Biancofiore. La quale, più berlusconiana di Berlusconi, dà una descrizione grandguignolesca ma non inappropriata dello stato in cui versa Forza Italia: «Un partito ridotto a conventicole, riunioni furtive, intrighi, cerchi, accoppiate, ipocrisie di bassa lega, eliminazione degli avversari». E insomma: «Basta con persone che, una volta arrivate, in casa di Berlusconi hanno come unico pensiero quello di fare fuori tutti gli altri». Il riferimento, naturalmente, è a Maria Rosaria Rossi, soprannominata dai nemici La Badante (di Silvio) e tesoriera del partito. In questo tutti contro tutti, in cui quasi tutti non credono che il Patto del Nazareno l’ex Cavaliere lo voglia o lo possa rompere davvero (e Toti infatti: «Comunque non faremo i kamikaze in Parlamento»), la mossa tattica di Silvio anti-Renzi dovrebbe servire a dare un contentino a Fitto il frondista (che cita San Tommaso: «Fine del Nazareno? Credo, se vedo») ma il blitz del Cerchio Magico super-berlusconiano sull’ufficio di presidenza vale come un pugno in un occhio del leader pugliese. E questo caos, questa esplosione nucleare delle inimicizie, dei rancori e delle vendette (il tutto tipico dei crepuscoli di un potere e delle corti che vedono la fine del sovrano) hanno qualcosa di tragico e tragicomico allo stesso tempo. Denis Verdini osservando quanto i suoi nemici che vogliono tutti la sua testa, ma odiandosi tra di loro, si stanno scannando, resta serafico: «Le riforme con Renzi? Se noi non le facciamo con lui, lui se la fa da solo».
Insieme alla voglia di eliminare i nemici interni, nel caos Forza Italia c’è la voglia - che Berlusconi ora fomenta ma allo stesso tempo frena - di rompere con Renzi e la paura che Renzi perda la pazienza sul serio e la faccia finita lui con l’intesa nazarenica. Arriva l’ambulanza? «Speriamo che non sia quella - osserva un saggio senatore forzista - che portò via Mussolini da Villa Savoia, dove viveva il re, e che storicamente rappresenta il simbolo della fine di una leadership in mezzo alla guerra di riposizionamento che stavano combattendo i suoi gerarchi».
OPA OSTILE

E se questo partito è spaccato in quattro - cerchisti, verdiniani, cani sciolti, fittiani - questo partito è anche quello così allo sbando che si presta all’Opa ostile di chi sta fuori di esso. Non certo di Ncd, che al momento non ne ha la forza, ma della nuova Lega di Salvini che sta vivendo una fase arrembante. Nelle macerie berlusconiane, Salvini sta facendo scouting. E la mossa tattica e tutta da verificare della rottura del Nazareno, nelle intenzioni di Berlusconi, sarebbe stata originata oltre che da motivi interni anche dai messaggi che arrivano al quartier generale di Silvio da parte dei territori e che suonano così: o ci diamo una linea subito, di opposizione netta al governo, oppure Salvini ci mangia i quadri e gli amministratori locali. Perfino in Sicilia, pezzi di potentati berlusconiani sono invia di riciclo leghista (la Lega non più del Nord ma la Lega dei Popoli). Nel Lazio, per esempio, l’esodo forzista in direzione Salvini è cominciato da un po’ e piazza del Popolo, la piazza storicamente berlusconiana, che sta per essere conquistata il prossimo 28 febbraio dall’altro Matteo anche con l’aiuto di ex azzurri, già comincia a suonare come un campanello di allarme per Silvio e come un monito a rompere (ma anche no?) con il Matteo numero uno.

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