Giovedì l’Abruzzo ha accolto l’ennesimo salvatore della patria, riservando un vero e proprio bagno di folla al Matteo Salvini da Milano, segretario di quella che fu la Lega Padana e che oggi vuol diventare un partito nazionale, ostile all’euro e agli immigrati. Qua e là, soprattutto all’Aquila e a Roseto, il nostro si è beccato anche qualche fischio, ma si è trattato di poca cosa rispetto agli applausi che hanno accompagnato le sue “tirate”, con frasi tipo «vi veniamo a liberare» e «siccome ne abbiamo già abbastanza di delinquenti, non c’è bisogno di altri che arrivino da ogni parte del mondo». Era dai tempi della mitica Brigata Majella (absit iniuria verbis) che non si sentiva parlare di una nuova guerra di liberazione e già questo concetto appare piuttosto temerario. Ma, più in generale, continuiamo a nutrire un certo scetticismo nei confronti di chi riesce ad ottenere consenso offrendo soluzioni facili a problemi tremendamente complessi. E’ normale che, in un Paese provato da un’interminabile crisi, abbiano un notevole seguito personaggi che promettono di prendere a calci nel didietro una classe dirigente che non ha certo garantito risultati eccelsi. E’ accaduto con Bossi, con Di Pietro, con Grillo e capiterà con chissà chi in futuro. E naturalmente rispettiamo le idee di chi (erano circa 700 nella sola a Montesilvano) si è spellato le mani per applaudire le bordate salviniane. Noi però pensiamo che l’Abruzzo, così come altre regioni del centro-sud, non abbia alcun bisogno di essere liberato. E abbia chiaro un concetto che è sempre stato condiviso dai contadini di questa terra: l’ospitalità per chi viene da lontano è sacra, anche quando si tratta di dividere quel poco di pane che c’è. L’esempio di Schiavi d’Abruzzo, il piccolo borgo che sta dando asilo a venti profughi arrivati da ogni dove, è solo l’ennesimo esempio di questa generosità. Un popolo che è stato emigrante sa quanto sa di sale lo pane altrui. E ha ben poco da imparare dal signor Salvini. Buona domenica a tutti.