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Pescara, 24/11/2024
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09/02/2015
Il Messaggero
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In cig e stipendiati, la truffa dei piloti. Tra indennità Inps e contratto all’estero incassavano fino a 25 mila euro: accertato un danno allo Stato di 7,5 milioni. Giovanni Luciano (Cisl Trasporti) «Che schifo, ci siamo battuti per loro e ci hanno derubato» |
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ROMA Per sette anni hanno pensato bene di arrotondare le loro “non trascurabili” entrate continuando a pilotare aerei nel florido mercato delle compagnie del Medio ed Estremo Oriente. Peccato, però, che gli stessi piloti, per lo Stato italiano, erano personale qualificato mandato via da Alitalia, Meridiana, Wind Jet, durante le crisi degli ultimi anni. E che proprio per questa ragione avevano diritto agli ammortizzatori sociali, tanto che molti di loro arrivavano a percepire fino a 11mila euro al mese. Tutto questo mentre continuavano a volare regolarmente, pilotando aerei di compagnie straniere e ricevendo uno stipendio tra i 13mila e i 15mila euro, che si andava a sommare all'indennità per la disoccupazione. Insomma, qualcosa come 25mila euro al mese. Protagonisti dell'ennesima truffa alle casse dello Stato scoperta dal Comando provinciale della Guardia di finanza sono 36 piloti, tutti italiani e con una lunga esperienza sugli aerei di linea, finiti in cassaintegrazione quando il settore aereo è crollato. Ma le loro indennità - pari all'80 per cento della retribuzione riferita agli ultimi 12 mesi di lavoro - erano ben diverse da quelle di un operaio: al contributo dell'Inps, infatti, sommavano quello della mobilità e quello previsto dal “fondo volo”, istituito nel 2008 a seguito della prima crisi dell'Alitalia. Totale, una somma variabile tra i 3mila e gli 11mila euro al mese, per 7 anni. PERCEPIVANO ANCHE BENEFIT Le indagini delle Fiamme gialle e del gruppo di Fiumicino hanno accertato che i 36 erano regolarmente assunti in compagnie straniere, soprattutto asiatiche e mediorientali, dalle quali percepivano tra i 13 e i 15mila euro al mese. Il contratto con le compagnie, poi, prevedeva anche una serie di benefit, come l'alloggio e la retta di iscrizione dei figli a scuola. I piloti - hanno ricostruito le indagini - volavano sempre estero su estero, in modo da non incappare in controlli, ma avevano mantenuto la residenza in Italia per non rischiare di perdere le indennità. E, almeno dal 2009, hanno “dimenticato” di segnalare all'Inps la loro nuova occupazione o hanno presentato false dichiarazioni in cui sostenevano di non avere altri rapporti di lavoro. Una dimenticanza costata alle casse dello Stato almeno 7,5 milioni. Le indagini sono partite seguendo le tracce di un soggetto in cassaintegrazione, che lavorava per una scuola di volo di Roma, all’Urbe, e si sono allargate agli altri piloti, individuati grazie all'incrocio dei dati forniti dallo stesso Inps con le informazioni ottenute dalle compagnie straniere che fanno scalo in Italia. L'Istituto di previdenza sociale ha immediatamente sospeso l'erogazione dell'indennità e ha avviato le procedure per il recupero degli importi percepiti indebitamente. «Una truffa - ha spiegato il direttore dell’Istituto Mauro Nori - particolarmente spiacevole perché il fondo di solidarietà del trasporto aereo, dà delle integrazioni salariali molto generose finanziate da tutti i viaggiatori con una addizionale di 3 euro sul biglietto. La vicenda rientra in una vasta operazione avviata tre anni fa e non è ancora finita». I piloti sono stati denunciati alla Corte dei conti e diverse procure hanno aperto dei fascicoli ipotizzando il reato di indebita percezione dei contributi. Chiamati a raccontare la loro versione davanti ai magistrati si sono tutti avvalsi della facoltà di non rispondere. Del resto, come avrebbero potuto giustificare il loro comportamento? NEL MIRINO ASSISTENTI DI VOLO Le verifiche della Finanza, comunque, proseguono su almeno un migliaio di persone: altri piloti in cassaintegrazione ma anche assistenti di volo e personale di terra. I finanzieri hanno, poi, individuato una diffusa evasione alla cosiddetta «imposta sul lusso», la tassa introdotta sugli aerotaxi nel 2012 dal decreto Monti. In sostanza è emerso che le somme pagate dai passeggeri restavano nelle tasche dei vettori che sistematicamente omettevano di girarle al fisco. Da una prima ricostruzione, solo sullo scalo di Ciampino, sarebbero una ventina le società che hanno violato gli obblighi di legge (di cui 15 estere e 5 italiane), per un importo di circa 1,2 milioni.
L’intervista Giovanni Luciano (Cisl Trasporti)«Che schifo, ci siamo battuti per loro e ci hanno derubato» ROMA «Come mi sento? Schifato...». Giovanni Luciano, segretario generale della Cisl Trasporti, messo davanti al caso dei 36 piloti italiani denunciati per truffa, mica ci gira intorno: «E pensare che ci siamo battuti per loro...». Ma chi sono questi piloti in cassa integrazione? Da dove sbucano «Sono quelli che nel 2008 hanno perso il posto di lavoro e che hanno ottenuto la garanzia di un trattamento pari all’80 per cento dello stipendio, per i sette anni successivi. Sentire adesso che alcuni di questi sono andati a volare all’estero e non l’hanno comunicato all’Inps, beh, questo vuol dire rubare alla collettività». Hanno rubato ad ognuno di noi? «Sempre che sia andati così -e io mi auguro, comunque, che i casi siano davvero pochi-, quell’ammortizzatore sociale che hanno continuato a ricevere è stato pagato da noi cittadini. Il sindacato, davanti a comportamenti del genere, è contrariato, indignato direi». Cosa avrebbero dovuto fare, invece, quei piloti? «Se un lavoratore in cassa integrazione o in mobilità trova un impiego all’ estero deve comunicarlo subito all’Inps. Non può continuare a riscuotere uno stipendio dal Qatar, per fare un esempio, e la cassa integrazione in Italia. Gli accordi nel 2008 li facemmo per proteggere chi era rimasto senza lavoro , non certo per garantire una doppia entrata a qualcuno. Facemmo tanto per continuare a mantenere il reddito e continuiamo a fare tanto. Poi arrivano i furbi e rovinano tutto». Di nuovo i piloti sul banco dell’accusa? «Qui bisogna stare attenti, non è un problema che deve riguardare solo i piloti. Il discorso è lo stesso anche per l’operazione della fabbrica che finisce in cassa integrazione e pretende di farsi qualche lavoretto per conto proprio. Certo, le cifre sono diverse, ma le leggi sono le stesse, i doveri sono gli stessi».
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