Seduta sospesa dopo il caos. Nulla di fatto dopo confronto serrato coi grillini per evitare ostruzionismo. Escalation di attacchi: il pentastellato Di Stefano accosta il partito di Renzi "al nazismo formato XXI secolo" con tanto di foto ritoccata di Mussolini con simbolo dem sul petto. Altra grana per il premier è l'ultimatum della minoranza interna
ROMA - La Camera diventa teatro di scontro durante la seduta notturna per la riforma del Senato, poi sospesa dal vicepresidente Roberto Giachetti. In un clima di forte tensione per la bagarre causata dal M5s, la rissa è scoppiata improvvisamente tra un deputato di Sel ed uno del Pd, con il primo che si è slanciato verso il secondo gridando "pezzo di m...". Immediato l'intervento dei rispettivi colleghi dei due deputati e dei commessi. Alla seconda ripresa dei lavori, dopo una pausa caffé, il premier Renzi è arrivato in Aula. Ancora prima il caos serale, poi le polemiche sulla mancanza del numero legale in aula con tanto di seduta sospesa per le assenze della maggioranza.
A seguire, l'ok al federalismo fiscale ma - subito dopo - tiene banco il fallimento della trattativa al cardiopalma tra maggioranza (Pd) e opposizione (Movimento 5 Stelle): al termine di un confronto serrato, lo scontro è altissimo. Dal Movimento si arriverà a riesumare l'accostamento al nazi-fascismo già usato in passato e a bollare il "Pd versione Renzi come un nazismo formato XXI secolo" con tanto di fotomontaggio del simbolo Pd sul petto di Benito Mussolini.
Se il Partito democratico - dicono i pentastellati - non accetterà la mediazione, noi continueremo con l'ostruzionismo. La risposta è picche: "Se è così, allora andiamo avanti a oltranza", è il messaggio che i dem reinoltrano al mittente. La controreplica è una dichiarazione di guerra: "Alziamo le mani, non garantiamo l'andamento istituzionale dei lavori, ve ne accorgerete".
Subito dopo, Alessandro Di Battista (M5s) prova a rilancia su Twitter con un argomento su cui il Pd si è già espresso col pollice verso: il referendum propositivo senza quorum.
Nel mezzo, i problemi interni al Partito democratico con un'altra grana all'orizzonte per Matteo Renzi: l'ultimatum lanciato dalla minoranza Pd la quale, dopo la rottura del patto del Nazareno, torna ad alzare la voce e ad avanzare richieste. Sennò - fanno sapere - sul voto sarà un 'liberi tutti'. A Montecitorio, insomma, è un'altra giornata carica di fibrillazioni e dibattito politico intenso. Sul tavolo continua a esserci la riforma costituzionale su cui il premier vuole fare in fretta.
Un risultato sicuro è che l'aula della Camera ha dato il via libera all'articolo 33 del disegno di legge che riforma il Senato e il Titolo V della Costituzione, il quale modifica l'articolo 119 della Carta. L'articolo, approvato con 295 sì, 88 no (tra cui quelli di Forza Italia) e 15 astenuti, tratta l'autonomia finanziaria degli enti territoriali e prevede che Comuni, Città metropolitane e Regioni abbiano autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrano ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. Nel pomeriggio, con 283 sì e 100 no ok anche all'articolo 34 del ddl che modifica il 120 della Costituzione introducendo "i casi di esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali dall'esercizio delle rispettive funzioni quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell'ente".
Tuttavia, nel corso della mattinata le polemiche hanno continuato ad accavallarsi. Dopo il caos di ieri sera a Montecitorio - quando la Camera ha detto sì alla seduta fiume voluta dal Pd per accelerare sul disegno di legge ma la bagarre sui banchi e le intemperanze tra Ncd e Lega (foto) hanno costretto la presidenza a interrompere i lavori - stamani si è dovuto registrare il primo incidente di percorso sul ddl Boschi al vaglio dei parlamentari. Nella discussione sul nuovo Senato è venuto a mancare il numero legale per appena due voti. Il vicepresidente di turno dell'assemblea Roberto Giachetti ha dovuto sospendere la seduta per un'ora.
Un altro stop and go che avrebbe profondamente irritato Laura Boldrini. La presidente della Camera - già insultata dai grillini che in aula le hanno urlato "serva" - avrebbe espresso un giudizio duro sulla maggioranza che proprio durante la seduta fiume ha l'obbligo di garantire il numero in aula.
Riforme, seduta sospesa: M5s urla "serva" a Boldrini
Condividi
Il M5s prende la propria posizione: rimarremo in aula "tranquilli" ma non prenderemo parte al voto. Dal governo, a intervenire - sempre via Twitter - è Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme.
Ma nella minoranza dem comincia a farsi sentire l'irritazione. La prima bordata arriva da Stefano Fassina che prova a mettere in discussione il metodo della 'seduta fiume' voluto proprio dal suo partito: "Andare avanti a tappe forzate è un problema. Bisogna prendere atto che il patto del Nazareno non c'è più e ci si rifiuta di affrontare le conseguenze politiche. Bisogna prendere in considerazione le richieste che arrivano almeno da una parte delle opposizioni". Ed è a questo punto che il relatore del ddl riforme, Emanuele Fiano (Pd), annuncia: "Accoglieremo alcune richieste di M5s e Lega".
Di certo c'è che l'obiettivo del governo è chiudere entro stasera gli articoli rimanenti da 34 al 41 e riprendere domani con quelli accantonati che vanno dal 10 al 20. Proprio per permettere ai deputati M5s di riunirsi in assemblea, la ripresa dell'aula della Camera slitta avanti di un'ora (dalle 15 alle 16). "La maggioranza - spiega a un certo punto Toninelli - ha aperto ad alcune modifiche da noi proposte, noi potremmo ritirare i subemendamenti e avere un atteggiamento più pacato in aula pur restando fermamente contrari alla riforme. Ma sulla linea decide l'assemblea". Come a dire: è ancora tutto da vedere.
Tra gli scogli nella trattativa, la richiesta avanzata dai grillini di abrogare il quorum al referendum. La Boschi interviene per spiegare che, sì, "è una delle richieste dei M5s. Ma non è al momento oggetto del confronto con loro".
Attorno alle 16 il faccia a faccia tra i due gruppi perde corpo e si sgretola. Le parole pronunciate dalla deputata M5s Fabiana Dadone sono chiare: "Purtroppo la pausa", nonostante "una nostra apertura molto larga sulla democrazia diretta, non ha portato buoni frutti", siamo a "un nulla di fatto". A questo punto "non posso garantire un andamento del tutto istituzionale dell'aula". Poi spiega le richieste targate 5 stelle: "Introduzione del referendum propositivo e abrogativo con zero quorum, la possibilità della minoranza di sollevare questioni di fronte alla Consulta e l'obbligatorietà a discutere le leggi di iniziativa popolare" in tempi certi. La conseguenza del mancato accordo? La resa: "Alzo le mani", chiosa. Riparte il tam tam su Twitter, dopo il post di Di Battista, Danilo Toninelli si limita a scrivere.
A ruota, sempre dal M5s è Davide Crippa a lanciare un altro genere di ultimatum: "Vi chiediamo una sospensione di quattro ore per dipanare il punto cardine della partecipazione dei cittadini alla vita politica inserendola nella Costituzione. Se non ce la date credo che ce la prenderemo".
Dinanzi alla richiesta di una sospensione di quattro ore, la presidente di turno Marina Sereni fa presente che non ci possono essere pause visto che l'aula è in fase di seduta fiume e che comunque a breve ci sarà uno stop 'tecnico' per un nuovo 'comitato dei nove'. La presidente mette quindi in votazione l'articolo 34 del ddl riforme (poi approvato) ed è subito tensione tra Pd e M5s. Il gruppo dei pentastellati protesta a voce sempre più alta. Dai banchi dem alcuni deputati, tenuti buoni da Ettore Rosato, replicano con urla spazientite. La tensione sale quando il grillino Diego De Lorenzis grida "serva" contro il banco della presidenza. La Sereni non ammette l'uso del termine e lo minaccia di espulsione. De Lorenzis vorrebbe replicare ma il collega Di Battista lo blocca e tenta di calmarlo.
Passano i minuti, riparte l'ostruzionismo dei grillini. A tenere banco è la questione della regolarità delle presenze dei deputati indicati in 'missione' ma presenti (o comunque visti) nell'emiciclo. L'attenzione delle opposizioni si concentra soprattutto sull'unico rappresentante del governo presente in aula, il sottosegretario alle Riforme, Ivan Scalfarotto, indicato anche lui, almeno fino al momento delle contestazioni, come 'in missione'.
In un crescendo di litigiosità, è sul blog di Beppe Grillo che compare un post a firma 'parlamentari M5s'. Vi si legge: "Di notte lavorano i ladri di appartamenti, non si cambia la Costituzione. Invece in questo Paese, ormai stretto nella morsa di un governo che comanda come se fosse il padrone, la Costituzione viene massacrata in tutta fretta col favore delle tenebre e del Festival di Sanremo".
L'escalation non si arresta. Su Facebook è il deputato M5s Manlio Di Stefano a postare una foto di Mussolini con lo stemma del Pd sul petto e a scrivere: "Dopo un'estenuante battaglia, udite bene, per poter dialogare sulle riforme costituzionali dato che il Pd non accetta nemmeno confronto, siamo arrivati a chiedere una sola modifica a fronte delle 2000 che avevamo presentato. Chiediamo una cosa che era, addirittura, nel programma elettorale del Pd ovvero il referendum propositivo senza quorum. Traducendo, chiediamo che i cittadini possano essere parte attiva della vita politica proponendo leggi. Una cosa ovvia. La risposta del Pd? Nein! Nemmeno Mussolini fece tanto". Poi l'accostamento tra "Pd versione Renzi" e "rappresentazione del nazismo formato XXI secolo".
Tuttavia, il Pd i conti deve farli anche al proprio interno. Perché la minoranza dem non molla e continua a dare filo da torcere: "Abbiamo chiesto poche modifiche - dice Davide Zoggia - ma finora c'è stato detto di no. Visto che il patto del Nazareno non c'è più, ci aspettiamo che ci sia responsabilità da parte del governo e che ci sia un confronto aperto. Altrimenti è evidente che ognuno sarà libero di votare e che nell'aula emergeranno le divergenze all'interno del partito". Gli fa eco Alfredo D'Attorre: "Siamo molto irritati, non c'è stata una riunione del Pd per un confronto. E' sconcertante che dopo che ci hanno portato a questa situazione e che dopo la fine del Nazareno permanga lo stesso atteggiamento di rigidità. Non è accettabile questo atteggiamento, nel merito nel metodo. O ci sono delle aperture oppure è chiaro che sui nostri emendamenti andremo avanti e li voteremo in aula".