ROMA Resta tutta in salita la strada delle riforme costituzionali in discussione alla Camera: a una notte di scontri non soltanto verbali, ieri è seguita una giornata tesissima, alla ricerca di un accordo che ha invece prodotto un muro contro muro tra Pd e M5S. Ridando fiato alla minoranza democratica. La giornata si è conclusa con un messaggio netto di Matteo Renzi: «Stupisce che ci sia chi esprime non tanto un dissenso, che sarebbe legittimo, ma che siccome ha le idee in minoranza prova a fare ostruzionismo e tentativi di blocco. La nostra maggioranza non si blocca. Molto bene, avanti tutta».
Che comunque la matassa fosse tutt'altro che sbrogliata, s'è capito subito ieri mattina quando la seduta fiume, imposta per arginare l'ostruzionismo, è stata immediatamente interrotta per mancanza del numero legale. Alla ripresa, l'annuncio dei grillini: «Noi di M5S non prenderemo parte alle votazioni. Staremo in aula ma non voteremo per non avallare la gravissima votazione sulla seduta fiume. Siamo stati più che disponibili e continuiamo ad esserlo ma fino a quando non avremo risposta non parteciperemo a questa pagliacciata», ha dichiarato la pentastellata Fabiana Dadone. Una posizione condivisa da Forza Italia, con il capogruppo Renato Brunetta che invocava un intervento del Capo dello Stato Sergio Mattarella contro «una serie di violenze democratiche», e dal presidente dei deputati leghisti Massimiliano Fedriga che sollecitava la riunione dei capigruppo per «dirimere la questione dei decreti a rischio scadenza a causa della forzosa imposizione della discussione sulle riforme».
LA MEDIAZIONE
Schermaglie proseguite mentre l'aula votava l'autonomia finanziaria degli enti territoriali prima, e sull'equilibrio di genere poi. E, soprattutto, mentre la maggioranza cercava un dialogo con l'opposizione grillina. Dialogo che è parso realizzarsi con la richiesta, avanzata dal relatore piddino Emanuele Fiano, di una sospensione di due ore per «valutare emendamenti e pareri relativi» nel comitato dei nove. E anche per un incontro negli uffici del governo tra M5S e Pd che si sarebbe detto disponibili ad accogliere alcune delle tre richieste su cui i grillini hanno presentato emendamenti, ai quali l'esecutivo aveva già detto no: proposte di legge di iniziativa popolare, referendum senza quorum, ricorso davanti alla Consulta sugli atti approvati dalla Camera. La ministra delle Riforme Maria Elena Boschi ha però subito precisato che il referendum senza quorum «è una delle richieste avanzate dal M5S, ma non è al momento sul tavolo della trattativa: abbiamo alcuni punti aperti, stiamo ragionando su altro». Alla fine l'assemblea dei 5 Stelle ha deciso per il prendere o lasciare: «Siamo scesi da 10 emendamenti a 7, poi ancora a tre: è il massimo che possiamo fare».
Niente accordo, dunque, e ostruzionismo a oltranza, e senza la garanzia di «un andamento del tutto istituzionale dell'Aula» ha messo sull'avviso Dadone, senza confermare e nemmeno escludere il rischio dell'occupazione dell'aula. In cui hanno ripreso corpo anche le contestazioni della minoranza piddina. «Abbiamo chiesto un confronto su poche modifiche al ddl costituzionale ma non c'è stata nessuna risposta. Ieri abbiamo garantito che la riforma andasse avanti e ci aspettavamo che dopo la fine del patto del Nazareno cambiasse il metodo. Invece la Boschi pensa ancora di essere in un altro mondo», ha dichiarato il bersaniano Alfredo D'Attorre: «Se continua così ci sentiremo liberi di votare le nostre proposte in Aula, emergeranno le divergenze nel Pd». E lo stesso Pier Luigi Bersani ha confermato che sugli emendamenti della minoranza piddina si svolgerà una riunione ad hoc: «Con un po' di buonsenso si possono approvare modifiche come quella sul giudizio preventivo della Consulta sulle leggi elettorali. Se il governo si impunterà sul no alla richiesta di abbassare il quorum del 30% dei deputati per il ricorso, sarà soltanto per motivi politici».