ROMA Non è un comunicatore Sergio Mattarella? Non lo era, ma lo è subito diventato appena lo hanno eletto presidente. Un comunicatore non tanto attraverso le parole, in un Paese in cui parlano tutti e di tutto in ogni momento, ma tramite le immagini. Dopo la Panda grigia, e l’icona austera della foresteria, il volo di linea e non di Stato su cui Mattarella si è imbarcato a Fiumicino per recarsi nella sua città, Palermo, in visita privata alla famiglia. E’ mai accaduto un fatto così, nella storia della Repubblica? Una volta sola. Quando Sandro Pertini, il 27 luglio del 1978, andò a trovare i suoi cari estinti al cimitero ligure di Stella e salì su un aereo dopo aver pagato il biglietto di andata e ritorno per Genova (84mila lire).
Adesso Mattarella, insieme ad altri 200 passeggeri e come uno dei tanti, ha viaggiato a bordo di un normale velivolo A320 dell’Alitalia. Una decisione che rientra in quella pedagogia dei gesti - fatta di scelte e di atteggiamenti che cercano di trasmettere normalità e aderenza agli usi e costumi dei cittadini italiani - che il Capo dello Stato ha adottato fin da subito. Senza avere bisogno di chissà quali dritte elaborate da chissà quali spin doctor. Lo stile Mattarella infatti non ha niente di studiato, come si sono accorti tutti i passeggeri che ieri lo hanno visto arrivare all’imbarco e mettersi in fila insieme agli altri, con il ceck-in tra le dita e in compagnia della figlia Laura, la proprietaria della famosa Panda grigia.
STUPORE
I viaggiatori sono stati colti di sorpresa, ovviamente: «Ma è lui o non è lui?», «Non ci credo», «Non è vero», «Ma invece è lui, ci somiglia troppo», «A me, mi pare uguale ad Andreotti, con i capelli più bianchi». Dubbi di pochi attimi. Poi il Capo dello Stato, all’imbarco e dentro l’aereo, viene salutato, fotografato e seguito da commenti, riferiti alla maniera low cost con cui ha scelto di spostarsi: «Ah, se tutti i politici facessero così...». Appena vengono postate su Twitter le foto del Capo dello Stato nella cabina di guida, insieme al comandante Maurizio Foglietti e al primo ufficiale Giuseppe Morana, sui social network cominciano a piovere paragoni di questo tipo: Renzi va a sciare a Courmayeur con il volo di Stato, mentre Mattarella usa i mezzi di trasporto normali. Ma c’è anche chi scrive cose più poetiche: «Oso immaginare un mondo in cui tutti facciamo la fila». E chi auto-ironizza sulla demagogia anti-casta: «Vergogna! Mattarella viaggia su un volo di linea e si prende il posto vicino al finestrino». In realtà, non ha nemmeno preso quello.
PARAGONI
La pedagogia dei gesti sembra insomma funzionare. Non va confusa però - del resto il Papa è il Papa - con la strategia comunicativa di Bergoglio che a sua volta punta sull’”orizzontalità” al posto dell’ostentazione delle gerarchie e sull’estrema voglia di liberarsi di tutti i paramenti del potere, per stabilire una più immediata connessione sentimentale con le persone. La pedagogia dei gesti in Mattarella non c’entra con il suo essere cristiano: aggettivo che, oltretutto, egli non ha mai usato nei suoi primi discorsi da presidente laico ma credente. Ha a che fare invece con la necessità di una ricucitura del rapporto, ormai più che slabbrato, tra i rappresentanti delle istituzioni e i cittadini italiani, tra quello che un tempo si chiamava il ”Paese legale” e quello che era denominato ”Paese reale”, tra il Palazzo e la Nazione insomma.
Va in questa direzione anche la scelta di trasformare il palazzo del Quirinale in un museo aperto al pubblico, sul modello per esempio del Palazzo Reale di Madrid che nel 2014 ha raccolto oltre un milione di visitatori. Ma ci vorrà non poco tempo, per arrivare all’apertura di queste 1200 stanze: un obiettivo cui Mattarella tiene moltissimo - «Questo palazzo è troppo grande per me», ha detto appena ci ha messo piede - e sta attendendo il piano di fattibilità che ha commissionato a un gruppo di funzionari che lavorano al Colle.
GLI APPLAUSI
Intanto Mattarella ha volato sullo stesso aereo in cui viaggia la squadra giovanile del Napoli, che oggi sfiderà i ragazzini del Palermo (il presidente un po’ tifa per i rosanero della sua città e un po’ ha simpatie interiste). E’ atterrato all’aeroporto Falcone e Borsellino, e da lì è andato in visita al cimitero di Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, dove riposa sua moglie che è morta nel 2012. Qualche stretta di mano. Qualche applauso. Qualche incitazione: «Presidente, faccia il bene del Paese». Sono lontane, da questa trasferta di Mattarella in Sicilia, le polemiche di Grillo contro di lui e le speranze di chi vorrebbe che il neo-presidente smontasse l’Italicum e la riforma del Senato. E’ il momento del raccoglimento davanti alla tomba della consorte. Poi il presidente va a via della Libertà, nella sua abitazione palermitana, dove lo aspettano i parenti, dove c’è la lapide di suo fratello Piersanti assassinato dalla mafia nel 1980 e dove una piccola folla lo accoglie sotto casa. Ancora battimani.
Qualcuno si affaccia dalle finestre per gridare: «Bentornato, Presidente». Le sue riposte sono i suoi sorrisi, timidi ma capaci di empatia. Quelli di un Capo dello Stato che cerca l’”orizzontalità” la quale, grazie al carattere non espansivo e anti-spettacolare del personaggio, non rischia di diventare populistica o demagogica. O di attizzare quella italianità a braccetto, e un po’ andante, che talvolta un tipo vulcanico come Sandro Pertini suscitò. C’è modo e modo per essere nazional-popolare, e Mattarella sembra già avere trovato il suo.