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Data: 21/02/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Rivoluzione contratti, via l’art. 18. Licenziamenti, nella riforma restano quelli collettivi. L’indennizzo diventerà la regola. Varati i decreti del Jobs Act.

Approvati i decreti attuativi del Jobs Act, il premier esulta:
riforma attesa da anni. Sindacati e minoranza dem attaccano

ROMA Approvati dal Consiglio dei ministri i decreti attuativi del Jobs act. Entrano in vigore nuove norme su assunzioni, licenziamenti e liberalizzazioni. Per Matteo Renzi si tratta di «un giorno atteso da molti anni, soprattutto da un’intera generazione che ha visto la politica fare la guerra ai precari ma non al precariato. Abbiamo rottamato un certo modello di diritto del lavoro e l’articolo 18, i co co co e i co co pro. Chi è licenziato - ha detto il premier in conferenza stampa - avrà più tutele e sarà più facile assumere. Questa è la strada per rimettere in moto il Paese».
L’ottimismo del presidente del Consiglio non è condiviso dai sindacati e dalla sinistra del Pd che partono all’attacco di un provvedimento che nella sua formulazione finale non tiene conto, tra l’altro, delle richieste delle commissioni Lavoro della Camera e del Senato sui licenziamenti collettivi. E sul punto Renzi ribadisce: «I licenziamenti collettivi rimangono nello stesso dettato formulato dal governo. Ma questi decreti si occupano poco di licenziamenti collettivi e molto di assunzioni collettive». Con il via libera al Jobs act e al contratto a tutele crescenti, «nessuno - aggiunge il premier - resta più solo quando perde il lavoro o viene licenziato. Un’intera generazione vede finalmente riconosciuto il proprio diritto ad avere tutele maggiori: parole come mutuo, ferie, buonuscita, diritti entrano nel vocabolario di una generazione finora esclusa. Circa 200 mila persone passeranno presto da contratti di collaborazione a un contratto di lavoro stabile». Il capo del governo sostiene inoltre che ieri «sono stati tolti gli alibi agli imprenditori che dicono che assumere in Italia non è conveniente: abbiamo ridotto le tasse e tolto incertezze. Il lavoro presenta più flessibilità in entrata e più tutele in uscita».
SFIDA ALLE LOBBY
Affermato che, nonostante il proprio ottimismo, «non avrebbe pensato che in tema di lavoro, in un anno di governo, si sarebbe arrivati a questo punto», Renzi si dice pronto a sfidare le resistenze delle lobby che «incontreremo sulle montagne russe del Parlamento». Il premier sostiene infatti che con le liberalizzazioni «si darà una sforbiciata ad alcune rendite di posizione riducendo il gap tra chi gode di condizioni di favore e chi no». Annunciate quindi «novità in arrivo» su assicurazioni, multe e telefonini: «Andremo - precisa - un po’ meno dal notaio perché si semplifica il sistema, e andremo con più serenità dai nostri professionisti».
Si diceva dell’insoddisfazione di sindacati e minoranza dem, che perciò stesso sono per l’Ncd motivo di esultanza: «Il Jobs act - dice Maurizio Sacconi - recepisce in pieno le proposte di Area popolare». Mentre Gaetano Quagliariello sostiene che «molte delle misure sul lavoro varate dal Consiglio dei ministri portano la firma politica del Nuovo centrodestra: è un passo avanti che modifica profondamente lo statuto dei lavoratori». Di tutt’altro avviso il sindacato di Susanna Camusso, una nota del quale sostiene che il Jobs act garantisce «il mantenimento delle differenze e non la lotta alla precarietà», su cui - dice la Cgil - «siamo alla conferma dell’esistente, se non al peggioramento». Decisamente critici anche gli altri sindacati: per la leader della Cisl, Anna Maria Furlan, «l’esultanza del premier è del tutto ingiustificata perché con queste norme non cambierà niente». Mentre per il segretario Uil, Carmelo Barbagallo, «non si va nella giusta direzione: la montagna ha partorito il topolino». Protestano anche gli esponenti della minoranza dem. Il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, afferma che «il governo ha fatto una scelta sbagliata e irrispettosa dei pareri convergenti delle commissioni di Camera e Senato che hanno chiesto la modifica della norma sui licenziamenti collettivi». Stefano Fassina parla di «ritorno agli anni ’50 del diritto del lavoro. Oggi - aggiunge parafrasando Renzi - è un giorno atteso da anni... dalla Troika». Mentre per il bersaniano D’Attorre «solo un ottimismo spinto a deformare la realtà può vedere in questi decreti un passo in avanti nella lotta alla precarietà».

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