ROMA «Oggi è il giorno atteso da anni il #Jobs act rottama i co.co.co vari e scrosta la rendite di posizione dei soliti noti #la volta buona». Matteo Renzi lancia su Twitter il varo dei decreti attuativi sulla riforma del lavoro. I toni del premier sono trionfali nella conferenza stampa convocata dopo cinque ore di Consiglio dei ministri. «Giornata storica, non pensavo di poter arrivare fin qui in un anno, una generazione vede finalmente riconosciuto i suo diritti ad avere tutele maggiori», assicura il premier. Ma sindacati e sinistra Pd non condividono affatto l’entusiasmo per una riforma che renderà più facili i licenziamenti. Con i decreti infatti sarà possibile non solo demansionare i lavoratori ma anche procedere ai licenziamenti collettivi, una norma che Renzi non ha voluto cambiare nonostante il parere delle commissioni Lavoro di Camera e Senato. «È una scelta politica sbagliata e non rispettosa del dibattito parlamentare» commenta Cesare Damiano, presidente Pd della commissione a Montecitorio. «È una giornata storica... per la Troika», aggiunge Stefano Fassina della minoranza Pd. «Questi provvedimenti si occupano di assunzioni collettive, questo è un Paese che sta ripartendo e che guarda al futuro, i decreti approvati da Cdm servono a fare assunzioni collettive non licenziamenti», ribatte Renzi. «200mila lavoratori parasubordinati passeranno ora a tempo indeterminato», aggiunge il premier. «Nessuno resta più solo quando perde il lavoro o viene licenziato», garantisce. Ma sui licenziamenti collettivi c’è stata tensione anche nel governo. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando si è infatti opposto all’introduzione della norma. Per i nuovi assunti niente più articolo 18. Se il lavoratore sarà licenziato, salvo nel caso di provvedimenti discriminatori, non ci sarà più il reintegro ma solo un indennizzo economico, stabilito in base all’anzianità di servizio. Cancellati inoltre dal 2016 i contratti a progetto. Ok definitivo anche all’etnrata in vigore dei nuovi ammortizzatori sociali, nuova Aspi e Ds-Coll. Dura la reazione dei sindacati. «Ora l’azienda può licenziare liberamente pagando un misero indennizzo, il jobs act è il mantenimento delle differenze e non la lotta alla precarietà», attacca Susanna Camusso. «Quello che il governo sta togliendo e non estende ai lavoratori stabili e precari andrà riconquistato con la contrattazione e con un nuovo Statuto dei lavoratori», aggiunge la segretaria dell Cgil. «È un primo intervento solo parziale, avremmo voluto un intervento più coraggioso sulla effettiva abolizione delle forme di precarietà per i giovani», dice. «Bisognava abolire tutti i contratti di precarietà», aggiunge Furlan, Cisl. «Rimangono 45 forme di precariato su 47, al di là delle battute del premier è che il lavoro non è più un diritto, il licenziamento sì», scrive su Twitter Nichi Vendola, segnalando l’entusiasmo per la riforma dei «diversamente berlusconiani», Ndc e Sacconi in testa.