1. Licenziamenti economici. Indennità crescente in base all’anzianità Tetto a 24 mesi
Se il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dichiara estinto il rapporto di lavoro condannando il datore di lavoro a pagare un’indennità crescente, in base all’anzianità di servizio. L’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, è pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità. Questo regime si applica ai neoassunti con contratto a tutele crescenti. Per i vecchi assunti, in base alla legge Fornero il giudice condanna l’azienda al pagamento di un’indennità tra 12 e 24 mesi, ma se riscontra la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento economico dispone la reintegra, il pagamento di un risarcimento fino a 12 mensilità con il versamento dei contributi.
2. Licenziamenti disciplinari .Reintegra ma solo se c’è l’insussistenza del fatto contestato
Se il giudice accerta che non ricorrono gli estremi per il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, dichiara estinto il rapporto di lavoro e sanziona il datore di lavoro con il pagamento di un’indennità di 2 mensilità per ogni anno di servizio (almeno 4 e non oltre 24 mensilità). Se in giudizio viene dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (senza alcuna valutazione sulla sproporzione del licenziamento), scatta la reintegra del lavoratore che ottiene un risarcimento (non oltre 12 mensilità). In base alla legge Fornero, applicata ai contratti in essere, per un licenziamento disciplinare illegittimo l’impresa deve pagare un’indennità tra 12 e 24 mesi, ma se il licenziamento è fondato su fatti falsi o nel Ccnl è prevista una sanzione minore (sospensione) viene disposta la reintegra più indennità fino a 12 mesi.
3. Licenziamenti collettivi. Stop alla reintegra se c’è violazione di procedure o di criteri di scelta
L’indennizzo previsto per i licenziamenti individuali si applicherà anche per i licenziamenti collettivi, in caso di violazione di procedure o dei criteri di scelta, si applica sempre il regime dell’indennizzo economico valido per gli individuali (da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità). Se il licenziamento collettivo è intimato senza l’osservanza della forma scritta la sanzione resta quella della reintegra (come per gli individuali). Tutto ciò vale per i soli assunti con il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Per gli altri si applica la normativa vigente, ovvero la lege 223 del 1991: per questi lavoratori scatta la reintegra più l’indennità risarcitoria fino a 12 mesi se si violano i criteri di scelta, l’indennizzo tra 12 e 24 mesi se si sbaglia la procedura.
4. Conciliazione standard. Risarcimenti esenti da tasse con l’accordo extragiudiziale
Il decreto legislativo in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti approvato ieri definitivamente dal Consiglio dei ministri prevede anche un percorso agevolato in caso di licenziamento di un dipendente. Per evitare di andare in giudizio il Dlgs prevede che si potrà fare ricorso alla nuova conciliazione facoltativa incentivata. In questo caso il datore di lavoro offre una somma esente da imposizione fiscale e contributiva pari ad un mese per ogni anno di servizio, non inferiore a due e sino ad un massimo di diciotto mensilità. Se il lavoratore accetta l’offerta, rinuncia alla causa. L’obiettivo della norma è di ridurre la conflittualità tra lavoro e dipendente, ma anche, e soprattutto, di trovare una via per ridurre il carico del sistema giudiziario, nel quale il peso del contenzioso legato al lavoro è sempre elevatissimo.
5. Piccole imprese e sindacati. Nessuna penalizzazione alle Pmi, norme estese a sindacati e partiti
Per le piccole imprese la reintegra resta solo per i casi di licenziamenti nulli e discriminatori e intimati in forma orale. Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati è prevista un’indennità crescente di una mensilità per anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità. Attualmente, la misura del risarcimento nelle imprese sotto i 15 dipendenti deve essere determinata dal Giudice, tra un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità di retribuzione, tenendo conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del lavoratore, nonché del comportamento e della condizione delle parti. La disciplina dei nuovi contratti a tutele crescenti si applica anche ai sindacati ed ai partiti politici, finora esclusi dalla norma.
6. Ricollocazione. Un voucher per ricollocare tutti i disoccupati
Per i contratti di ricollocazione viene allargata la platea dei benficiari, rispetto alla prima versione del decreto, a tutti i disoccupati e non più solo i lavoratori licenziati illegittimamente. Il voucher sarà dato al lavoratore a condizione che si ponga a disposizione e cooperi con l’Agenzia per il lavoro (pubblica o privata accreditata), che sarà pagata solo a risultato ottenuto, cioè a ricollocazione avvenuta. Non sarà più istituito presso l’Inps, ma presso il ministero del Lavoro, il Fondo per i contratti d ricollocazione, che ha una dote complessiva di 50 milioni per quest’anno e di 20 milioni per il 2016. Dopo l’intesa raggiunta in Conferenza Regioni, la nuova versione dell’articolo 17 prevede il pagamento del 100% a risultato, ma ciò potrebbe creare qualche problema soprattutto nella fase iniziale, visto che una parte dei disoccupati coinvolti potrebbe successivamente decidere di non proseguire.
7. Naspi. Ai disoccupati tutela fino a 2 anni. Dal 2017 tetto a 18 mesi.
Con l’arrivo della Naspi (che prende il posto della vecchia Aspi e mini-Aspi) si estendono le tutele in caso di disoccupazione involontaria. La prestazione è pari al 75% della retribuzione media degli ultimi 4 anni con un tetto a 1.300 euro. La durata dell’indennità, che scatterà dal prossimo 1° maggio, sarà pari al 50% dei periodi retributivi accreditati dall’interessato negli ultimi 4 anni di lavoro con un massimo complessivo di due anni che dal 2017 scenderà a 18 mesi. Per il periodo di pagamento di questo indennizzo viene riconosciuta una contribuzione figurativa entro un massimale di retribuzione mensile pari a 1,4 volte il massimale prevista per la prestazione stessa.
Alla Naspi potranno accedere tutti i disoccupati che hanno alle spalle 13 settimane di contribuzione in 4 anni o 30 giorni negli ultimi 12 mesi.
8. Asdi. Prestazione ponte dopo la Naspi per chi ha più bisogno
Nel nuovo set di tutele esteso contenuto nel Jobs Act c’è anche l’Asdi. È l’assegno di disoccupazione sperimentale per il prossimo anno che verrà riconosciuto a chi, scaduta la Naspi, non ha trovato impiego e si trovi in condizioni di particolare necessità. Nel dlgs si parla di soggetti con carichi familiari o prossimi al pensionamento e con Isee basso (anche qui si rimanda a un decreto ministeriale attuativo). La durata dell’assegno, che sarà pari al 75% della retribuzione Naspi, è 6 mesi, e verrà erogato a esaurimento di un fondo ad hoc di 200 milioni di euro nel 2015 e 200 milioni nel 2016. Il riconoscimento di questa indennità di ultima istanza è condizionata alla partecipazione del beneficiario a un progetto personalizzato di reinserimento nel mercato del lavoro messo a punto da un centro per l’impiego
9. Mansioni. Mansioni flessibili per le aziende che si riorganizzano
Il datore di lavoro potrà modificare unilateralmente le mansioni nei casi di riorganizzazione o ristrutturazione aziendale, quando cioè sussistono ragioni tecnico-produttive oggettive. Il decreto legislativo esaminato ieri in Consiglio dei ministri prevede una riscrittura dell’articolo 2103 del codice civile: il lavoratore può essere assegnato a mansioni di un livello di inquadramento inferiore, una scelta che può essere fatta anche tramite la contrattazione collettiva. In pratica si estende al settore privato una misura che il governo aveva introdotto per il pubblico impiego con il decreto del giugno scorso.
Il lavoratore “demansionato” ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento.
10. Contratti a termine. Resta il limite dei 36 mesi con 5 proroghe
Con il decreto di semplificazione delle tipologie contrattuali i contratti a termine escono con lo stesso profilo che avevano assunto dopo il decreto Poletti dell’anno scorso. La durata massima resta a 36 mesi e in questo arco di tempo possono essere prorogati fino a cinque volte. In caso di riassunzione dovranno essere rispettati deterimanti intervalli: 10 giorni se il precedente contratto aveva una durata fino a sei mesi e 20 giorni se invece era più lungo . Intervalli che non varranno per i lavoratori impiegati in attività stagionali o in casi definiti dai contratti collettivi. Il numero complessivo di contratti a termine non potrà superare il 20% del numero di lavoratori a tempo indeterminato ma questo limite prevede diverse deroghe, tra cui le start up, i casi di sostituzione di lavoratori assenti o i lavoratori con più di 55 anni.
11. Apprendistato. Primo passo verso il modello tedesco ma c’è il rischio Regioni
L’apprendistato per il diploma di scuola superiore si unifica con quello per la qualifica e la specializzazione professionale. Mentre il terzo livello si limita all’alta formazione e ricerca. Il Dlgs di riordino dei contratti esaminato ieri dal Governo rappresenta il primo passo verso il modello duale tedesco: l’apprendistato di primo livello ora diventa «per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale» e servirà ad assumere, in tutti i settori di attività, i ragazzi dai 15 ai 25 anni. La sua durata dipenderà dalla qualifica o dal diploma da conseguire, ma, in ogni caso, non potrà essere superiore, per la sua componente formativa, a tre anni o a quattro anni nel caso di diploma quadriennale professionale. Unico rischio è la competenza delle Regioni sulla formazione che ora rishciano di intervenire sul nuovo assetto.
12. Collaborazioni. Stop a Cocopro, restano i casi previsti dai contratti collettivi
Addio ai Cocopro. A partire dall’entrata in vigore del decreto attuativo della delega lavoro, approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri di ieri, non potranno più essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto. E anche se quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza, a partire dal 1° gennaio 2016, ai rapporti di collaborazione “mascherati” cioè quelli personali con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Potranno invece restare altri tipi di collaborazioni con riferimento a quattro tipologie, prime fra tutte quelle regolamentate da accordi collettivi che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo legate alle esigenze produttive e organizzative del relativo settore.