ROMA Riforma con il giallo. Con il Jobs act il governo ha cambiato radicalmente il sistema delle indennità di licenziamento per le aziende con più di 15 dipendenti. E così un lavoratore allontanato ingiustamente avrà diritto a un risarcimento in denaro proporzionale alla lunghezza della sua carriera. Per ogni anno di servizio alle spalle, infatti, verrà riconosciuto un indennizzo di due mesi di stipendio, fino a un massimo di 24 mensilità. Tutto chiaro? Non proprio perché la norma scritta nel decreto attuativo da Palazzo Chigi, quando si tratta di spiegare il metodo di calcolo dell’indennizzo, stabilisce che il datore di lavoro sarà tenuto «al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr per ogni anno di servizio».
Una formulazione che ha spinto molte aziende, in queste ore, a ritenere appunto il trattamento di fine rapporto come misura dell’indennizzo: una soluzione economicamente più svantaggiosa per il lavoratore licenziato. In realtà le cose non starebbero in questo modo.
L’INTERPRETAZIONE
A spiegarlo è il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, secondo il quale «il riferimento al Tfr serve solo come parametro tecnico per chiarire che la mensilità da prendere in esame per l’indennizzo è l’ultima percepita dal lavoratore prima della risoluzione del rapporto». In pratica, afferma chiaramente il collaboratore del premier Renzi, se si viene licenziati a maggio, sarà quello il cedolino (moltiplicato per le mensilità da corrispondere) da prendere in considerazione per l’indennizzo. Così, ad esempio, chi è assunto da tre anni, potrà ricevere come risarcimento una somma pari a 6 mesi di retribuzione. E non a sei liquidazioni che, occorre ricordarlo, sono il frutto di uno stipendio base moltiplicato per 12 ma poi diviso per 13,5.
GLI ALTRI PUNTI
La norma, tra l’altro, ha stabilito anche un indennizzo minimo (di 4 mensilità di stipendio) per evitare che le aziende approfittino delle nuove regole (che in aggiunta prevedono sgravi contributivi e il taglio all’Irap ) per licenziare con troppa facilità i neoassunti. La riforma prevede anche l’introduzione della conciliazione standard. In questo caso l’imprenditore offre al lavoratore un importo che non sarà considerato reddito imponibile ai fini Irpef pari a un mese di stipendio per ogni anno di lavoro, fino ad un massimo di 18 stipendi. Il versamento sarà effettuato tramite assegno circolare. Accentando l’assegno il lavoratore rinuncia a fare causa e il rapporto di lavoro si considera chiuso. Quasi inalterata la disciplina che regola i licenziamenti discriminatori: in questo caso anche i nuovi assunti hanno diritto al reintegro sul luogo di lavoro e ad un risarcimento (per un minimo di 5 stipendi). L’unica novità consiste nel fatto che il lavoratore, entro un mese dalla sentenza del giudice, potrà scegliere se tornare al lavoro o essere indennizzato con 15 mensilità. In rampa di lancio anche il Naspi, l’assegno che da maggio sostituirà l’Aspi e la mini-Aspi coprendo anche i collaboratori esclusi fino ad oggi.
LE TUTELE
Per poterne usufruire, innanzitutto, il lavoratore deve essere stato assunto con un contratto da dipendente e trovarsi in uno stato di disoccupazione involontaria Inoltre, il disoccupato deve avere alle spalle almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni e aver svolto almeno 18 giorni di lavoro nell’anno precedente. L’ammontare dell’assegno è il 75 per cento della retribuzione, per la parte di stipendio che non supera i 1.195 euro. Per la quota di salario che oltrepassa questa soglia, invece, l’indennità si riduce al 25 per cento.
Per tutti i sussidi è previsto comunque un tetto massimo di 1.300 euro lordi L’assegno si riduce del 3 per cento ogni mese, ma soltanto a partire dalla quinta mensilità. L’assegno viene liquidato per un periodo massimo pari alla metà delle settimane lavorate negli ultimi 4 anni. Dunque, chi ha avuto un impiego continuativo per tutto il quadriennio, può ricevere l’indennità per un massimo di 24 mesi. A partire dal 2017, la durata massima dell’assegno scenderà a 18 mesi.