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Data: 23/02/2015
Testata giornalistica: L'Huffington Post
Maurizio Landini in politica, anche la Cgil dopo Renzi contro il leader Fiom. Ma lui smentisce: "Mai detto di voler fare un partito"

Una giornata nera per Maurizio Landini. Una domenica in cui un titolo forzato del Fatto quotidiano di Marco Travaglio, “Ora faccio politica”, tra virgolette e sparato in prima pagina, si trasforma nell’occasione per prendere botte da destra e da sinistra, da Renzi e dalla Cgil. Il più duro è senza dubbio il premier che, intervistato da Lucia Annunziata a “In Mezz’ora”, attacca: “Non credo che Landini abbandoni il sindacato, è il sindacato che ha abbandonato Landini. Il progetto Marchionne sta partendo, la Fiat sta tornando a fare le macchine. La sconfitta sindacale pone Landini nel bisogno di cambiare pagina: il suo impegno in politica è scontato”. Una discesa in campo, dunque, secondo Renzi, come una sorta di ricerca di uno strapuntino dopo aver perso la madre di tutte le battaglie sindacali degli ultimi anni, quella contro l’ad di Fiat Marchionne, il manager che fa impazzire di ammirazione il premier rottamatore.

L’accusa del leader Pd è molto dura, e dalla Cgil non arrivano parole di sostegno. Anzi. Il portavoce di Susanna Camusso, Massimo Gibelli, su twitter prende le distanze da Landini: “Se vuole scendere in politica tutti i nostri auguri, ma il sindacato, la Fiom, è un’altra cosa”. Durissima la replica, sempre via social network, della portavoce di Landini Giorgia Fattinnanzi: “Troppo pigro per leggere più del titolo in prima o solo malafede??”.

Il clima pessimo tra i due portavoce segnala come l’unità di tutta la Cgil in piazza San Giovanni sia ormai un ricordo del passato. La battaglia sul Jobs Act, questa sì è davvero persa, e ora a sinistra i cocci diventano oggetti contundenti da lanciare uno contro l’altro. In casa Fiom, la prima preoccupazione del pomeriggio è quella di smentire il titolo del Fatto. Solo che fino alle 18 non arriva nessuna smentita ufficiale, solo una lettera indirizzata a Travaglio per il numero del Fatto di lunedì 23. Una missiva in cui Landini spiega che “la vostra prima pagina di domenica 22 febbraio 2015 mi attribuisce un’affermazione non pronunciata e perlomeno forzata, ‘Adesso faccio politica’, con tanto di virgolette che la rendono fuorviante. Perché rimanda più esplicitamente all’impegno di tipo partitico o elettorale, che come si può correttamente leggere nell’intervista non è proprio presente. Anzi è un modo per banalizzare il cambio d’epoca che secondo il mio punto di vista richiede la ridefinizione di nuove strategie sindacali e politiche”. Nella lettera a Travaglio il leader Fiom torna dunque su posizioni note, spiegando che per il sindacato la “sfida a Renzi, oltre alla normale azione contrattuale, consiste nella creazione di una coalizione sociale che superi i confini della tradizionale rappresentanza sindacale, capace di unificare e rappresentare tutte le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare”. “È questo che ho sempre inteso e continuo ad intendere per impegno politico”, dice Landini, “ed è un punto di vista che nel suo vero significato spero diventi oggetto di un’ampia discussione e non ridotto ad un titolo ad effetto”.

Nell’intervista al Fatto, in effetti, Landini sviluppa alcuni dei concetti che da tempo sono in cima alla sua agenda. Di fronte allo “scardinamento sostanziale” dello Statuto dei lavoratori, il leader Fiom non vede attualmente presente una rappresentanza politica per “la maggior parte del Paese, quella che per vivere deve lavorare”. Serve quindi uno strumento per “sfidare Renzi a una verifica democratica”, visto che Landini è convinto che sui temi del lavoro il premier “non ha il consenso della maggioranza della popolazione”. Uno strumento che non sarà “un nuovo partito, che sarebbe una semplificazione”, ma una “coalizione sociale”. “Il sindacato di deve porre il problema di una coalizione sociale più larga e aprirsi a una rappresentanza anche politica. La sfida democratica a Renzi passa anche da qui”. Parole che non indicano una strategia precisa, e neppure l’embrione di una nuova casa comune per Sel e le minoranze Pd. Semmai, la ricerca di una piattaforma comune con una serie di realtà sociali come Libera e Emergency.

In casa Fiom ha fatto particolarmente male l’accusa del premier di aver perso la battaglia sindacale contro Fiat. Un tema su cui Landini risponderà lunedì a Otto e mezzo. Partendo da un dato: “Come Fiom siamo stati riammessi in Fiat da una sentenza della Corte costituzionale. Difficile dire che siamo stati sconfitti…”.
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Nella domenica dell’attacco di Renzi, colpisce però la solitudine di Landini. Dalla sinistra Pd arriva una difesa solo da Alfredo D’Attorre: “Possono essere interessanti battaglie comuni tra forze politiche, forze sociali, pezzi della società che insieme cercano di contrastare l'applicazione in Italia di quel modello di politica economica fondato su flessibilità spinta, deflazione salariale, riduzione del ruolo e taglio della spesa sociale. Un modello che viene imposto a diversi Paesi europei e di cui il Jobs act è l'esempio più eclatante per quanto riguarda l’Italia”. Quanto alle parole di Renzi su Landini, il deputato bersaniano commenta: “Francamente non mi pare una mossa utile quella di delegittimare un interlocutore sindacale provando ad attribuire un significato politico alle sue mosse. Di solito quando si passa alla delegittimazione personale è perché si è in difficoltà sugli argomenti”. Sulla stessa lunghezza d’onda il capogruppo alla Camera di Sel Arturo Scotto: “È singolare che un premier elogi in questo modo un manager che ha trasferito la sede fiscale in Gran Bretagna, mentre attacca in questo modo un leader sindacale che rappresenta milioni di lavoratori”.

Polemiche a sinistra anche sull’intervento di sabato di Laura Boldrini, che aveva criticato il governo per avere ignorato i pareri del Parlamento sul Jobs Act e parlato con preoccupazione di “un uomo solo al comando”. “Mi sembra un eccesso rispetto alla sua posizione di garanzia”, attacca il vicesegretario del Pd Debora Serracchiani. “Boldrini ha preso un ruolo politico di fronte a certe affermazioni, bisogna chiedere a lei il perché. Dire che c'è un uomo solo al comando non è giusto, il lavoro del Pd è fatto di tante donne e uomini. Non c'è un uomo solo ma un partito che rappresenta una base larga degli italiani e che dice che devono essere fatte certe cose. Renzi non decide da solo ma decide di andare fino in fondo sulla base di quello che viene portato dal partito”. Renzi invece si tira fuori dalla polemica: “Le critiche della Boldrini sul Jobs act? Un problema suo, non nostro. Noi mandiamo avanti il programma di governo su cui abbiamo chiesto la fiducia e come dobbiamo fare. La Boldrini è la presidente della Camera, è l'arbitro dei giochi parlamentari e la lascio fuori dalla discussione”. Alla presidente della Camera arriva la solidarietà della minoranza Pd e anche del Mattinale di Renato Brunetta: “Da lei un soprassalto di dignità”.

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