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Pescara, 24/11/2024
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Data: 23/02/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Landini in politica, Renzi attacca. Il premier sfida il leader della Fiom: «Vuole scendere in campo perché ha perso nel sindacato» Il sindacalista: «È ora di sfidare democraticamente Renzi» ma la Camusso lo boccia. Da Sel ai No Tav, la sinistra di Maurizio. Prima sfida: il referendum sul Jobs Act.

ROMA Il via libera al Jobs act da parte del governo infiamma la polemica nel mondo politico e sindacale. Palazzo Chigi non ha affatto gradito l’attacco di Maurizio Landini («È cambiato tutto, siamo alla fine di un’epoca: è venuto il momento di sfidare democraticamente Renzi», l’avvertimento del leader della Fiom) e il premier, intervenendo in Tv durante la trasmissione “In mezz’ora”, ha contrattaccato con durezza. «Un sindacalista che fa politica non è il primo» ha ironizzato Renzi aggiungendo che «sul Jobs Act ognuno può avere l’opinione che vuole, ma se la si butta in politica è difficile pensare che tutte le manifestazioni non fossero propedeutiche all’entrata in politica». Poi, entrando nel merito delle critiche di Landini («Siamo a uno scardinamento sostanziale dello Statuto dei lavoratori, non a caso Confindustria rilancia chiedendo di realizzare quanto fatto alla Fiat, oggi Fca: cancellare il contratto nazionale» ha accusato il sindacalista), Renzi ha affermato che «il progetto Marchionne sta partendo, la Fiat sta tornando, meno male, a fare le macchine. Sulla partita tra chi diceva che la Fiat è finita e chi diceva diamo fiducia a Marchionne il dato è che la Fiat sta tornando ad assumere. La sconfitta sindacale pone Landini nel bisogno di cambiare pagina e il suo impegno in politica è scontato». Una scelta inevitabile, a giudizio del premier, perché «non credo che Landini abbandoni il sindacato, è il sindacato che ha abbandonato Landini». In serata, in ogni caso, Landini ha esluso impegni partitici o elettorali.
LE REAZIONI
Quanto alle critiche di Laura Boldrini, che due giorni fa ha lamentato il disinteresse del governo per i pareri del Parlamento sul Jobs act, Renzi ha liquidato la questione spiegando che «è un problema suo, non nostro: la riforma ormai è andata. La Boldrini è la presidente della Camera - ha aggiunto l’ex sindaco di Firenze - è l’arbitro dei giochi parlamentari e la lascio fuori dalla discussione». A difesa di Boldrini, attaccata da Scelta civica, sono intervenuti ampi settori della sinistra Pd. E in particolare l’ex ministro del Lavoro Damiano e Fassina. Mentre Graziano Delrio ha garantito che sull’iter della riforma non si è consumata «alcuna umiliazione del Parlamento». Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si è invece detto sicuro che con il Jobs Act presto «vedremo buoni frutti». Più dura la posizione di Debora Serracchiani. «Mi è un po’ e dispiaciuto, personalmente e politicamente, il fatto che la terza carica dello Stato abbia preso una posizione così di fronte a una riforma del governo. Mi sembra un eccesso rispetto alla sua posizione di garanzia», ha detto il vicesegretario del Pd rispondendo così anche alle critiche della sinistra sui decreti attuativi. «Mi fa piacere - ha aggiunto - che Ncd esulti per una riforma di sinistra». Il clima interno al Pd sul Jobs act resta comunque molto teso. «Non aver tenuto conto» dei pareri delle commissioni sui licenziamenti collettivi nel Jobs act mortificando un dialogo che sembrava muoversi nella direzione giusta per trovare convergenze, non potrà non avere conseguenze» hanno avvertito le senatrici Pd Erica D’Adda e Patrizia Manassero, della Commissione Lavoro.

Da Sel ai No Tav, la sinistra di Maurizio. Prima sfida: il referendum sul Jobs Act. La discesa in campo del leader sindacale agita i capi attuali che temono di finire tutti rottamatiRenzi scommette invece sul nuovo avversario
che lascerebbe al Pd il ruolo di polo di governo

ROMA Scegliersi l’avversario o crearlo se non c’è, è uno degli sport proferiti di Matteo Renzi. Meglio se simpatico e in grado di bucare il video e comunque di offrire al pubblico una narrazione completamente diversa dalla sua. A destra c’è ed è il leghista Matteo Salvini, giovane, dalla battuta pronta, furbo ma improponibile come leader di tutta quell’area moderata guidata per anni da Berlusconi. A sinistra è in rampa di lancio Maurizio Landini personaggio dotato di leadership e carisma. In grado di usare, come Salvini e Renzi, le telecamere insieme a Facebook e twitter. Alle tradizionali assemblee nelle fabbriche, l’uso massiccio dei social luogo virtuale dove si sfogano frustrazioni, rabbie, rivendicazioni e insofferenze verso la casta e, ovviamente, contro i padroni. Se Salvini propone il referendum per uscire dall’euro, Landini raccoglie firme per cancellare il jobs act.
CONFINI
Nella lettera di smentita al ”Fatto”, che aveva lanciato la sua discesa in politica con una sorta di manifesto politico, Landini scrive: «La sfida a Renzi, oltre alla normale azione contrattuale, consiste nella creazione di una coalizione sociale che superi i confini della tradizionale rappresentanza sindacale». Da leader in pectore di tutta la sinistra anti-renziana in grado di raccogliere Sel, come la frangia di sinistra del Pd, dai no-Tav ai movimenti per la casa e ai gruppi antagonisti, Landini scommette sullo scenario opposto di quello raccontato da Renzi. Ipotizzare che il Pd del Rottamatore finisca come il Pasok di Papandreu per aver seguito le ricette di Bruxelles e gli ordini di Berlino provoca l’orticaria all’inquilino di palazzo Chigi che ieri ha provato a scrivere le prime righe della biografia politica di Landini con la «sconfitta» subita con la Fiat che ha ripreso a fare macchine e ha progetti che «mi rendono gasatissimo». D’altra parte nello ”strano” bipolarismo renziano esiste un polo di governo, il suo, e un polo d’opposizione (varia e contrapposta al suo interno), non in grado di proporsi come alternativa per la guida del Paese. I protagonisti del nuovo partito della sinistra guidato da Landini e che sfida il Pd renziano spostatosi troppo al centro dovrebbe essere, in ordine sparso, Civati, Fassina, Vendola, Cofferati, Cuperlo e la stessa Camusso. Se non fosse che la segretaria della Cgil ieri ha attaccato senza messi termini le ambizioni politiche di Landini scorgendovi probabilmente più di un’insidia interna in vista del congresso della Cgil. La frenata di Civati, che dice di non capire la contrapposizione tra sinistra sociale e sinistra di governo proposta da Landini, cela una concorrenza di leadership che riguarda anche Vendola visto che i sondaggi fatti tra gli elettori di Sel premiano il segretario della Fiom come Tsipras italiano. D’altra parte in quel mondo ”sociale” nel quale si aggrega il consenso del leader dei metalmeccanici, tutti i succitati personaggi vengono vissuti come organici alle forze in campo e quindi da rottamare.
Su tutti Fassina che è stato viceministro del governo Monti, ma anche Civati che sconta il suo inizio politico con lo stesso Renzi, per non parlare di Cuperlo e Cofferati. A figurare come leader totalmente estraneo al Palazzo è solo Landini che infatti raccoglie consensi - l’ultimo test lo dà in grado di aggregare il 5% - nell’elettorato della Lega, in quello del M5S oltre che nel Pd e, ovviamente, dentro Sel che verrebbe di fatto svuotata. Nel partito di Vendola sono però convinti che Landini continuerà a fare il sindacalista a lungo. «Ciò non toglie - sostiene Nicola Fratoianni - che la reazione di Renzi è insopportabile perchè lui e i suoi trattano in questo modo tutti coloro che criticano il governo, Boldrini compresa».

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