L’OPINIONE
Nella retorica si chiama argumentum ad hominem, e consiste nel confutare la tesi di qualcuno attaccandolo direttamente. Esempio di scuola: tu sei vegetariano, anche Hitler era vegetariano, dunque essere vegetariani è sbagliato. Matteo Renzi è un maestro della tecnica, che utilizza spesso nella variante hard dell’argumentum ad personam: chi pensa che la crisi economica durerà a lungo è un gufo e un rosicone, se Landini si butta in politica è un perdente in cerca di rivincite, una legge sulla Rai non può portare il nome di Gasparri perché uno come Gasparri non ha titoli per parlare di cultura. E via a seguire, come negli sketch del miglior Crozza. Con una differenza, però: che la satira vive della messa in ridicolo, mentre la politica dovrebbe teoricamente vivere di confronto delle idee. L’argumentum ad hominem semplifica molto, mobilita l’elettorato e - per dirla in termini di marketing - crea un effetto virale: non occorre una grande conoscenza della Rai e in generale delle questioni radiotelevisive per prendersela con Gasparri, non serve essere economisti o giuslavoristi per dare una stoccata a Landini. In più, la probabilità che i bersagli reagiscano è piuttosto alta, e non è escluso - i tweet del vicepresidente del Senato contro il premier e la sua famiglia lo dimostrano - che lo facciano sposando la stessa tecnica retorica: ci si riduce quindi a una gara tra battutisti, in cui il merito delle questioni non entra mai davvero in gioco. È un po’ lo schema che ha dominato i vent’anni di berlusconismo, e che forse l’Italia - Paese più di pancia che non di testa - si porterà dietro per sempre: vince, allora, chi è in grado di sfruttarlo al meglio, e non è un caso che i tre protagonisti della fase politica attuale (Renzi, Salvini e Grillo) siano tutti campioni nella specialità. Che si accompagna sempre, naturalmente, a una costruzione attenta del proprio personaggio, visto che la battaglia è sulle facce più che sui contenuti: Renzi comincia la scalata con un servizio fotografico su Vanity Fair mentre si allaccia la cravatta e si fa un selfie, Salvini con uno su Oggi mentre ti guarda lascivo dal letto mezzo nudo, Grillo attraversa a nuoto lo stretto di Messina e si fa riprendere sulla spiaggia vestito da marziano. Per Landini, insomma, la possibile discesa in campo - ammesso che voglia davvero candidarsi, e considerando comunque che in campo è già da tempo - rischia di essere piuttosto una salita: un po’ perché la costruzione del personaggio è parecchio indietro, se si esclude la presenza regolare in qualche talk show, e un po’ perché il carro degli aspiranti leader dell’opposizione (anche da sinistra) è già abbastanza pieno. Tanto è vero che lo stesso capo della Fiom, nel momento in cui la Cgil di Susanna Camusso alzava la temperatura dello scontro sulla riforma del lavoro, si era ritagliato uno strano ruolo di alleato di Renzi: “contro la crisi”, titolavano i giornali nella primavera del 2014, e qualcuno aggiungeva pure “contro il sindacato”, visto che in palio c’era anche una riforma dello stesso. All’epoca il presidente del Consiglio non disdegnò la mano tesa, oggi quasi lo sbeffeggia: «Landini vuole provarci in politica», dice, «dopo aver perso la battaglia sindacale». Può sembrare un cinismo esagerato, ma l’argumentum ad personam è fatto così: è spietato, non si ferma di fronte a nulla, è uno sport di mazzate date e prese in quantità. Se non sei un buon incassatore, ma ti viene la gastrite per una critica di Renzi o la dermatite atopica per un tweet di Gasparri, è meglio restare fermo un giro e aspettare che arrivi il tempo del confronto nel merito, sui singoli provvedimenti, prescindendo da chi li ha presentati.