ROMA Il governo punta a inserire nella prossima legge di stabilità interventi sul sistema previdenziale introducendo flessibilità nell’accesso alla pensione a fronte di assegni pensionistici più leggeri. L’ipotesi di modifiche alla legge Fornero rilanciata ieri in una intervista dal presidente dell’Inps, Tito Boeri è stata confermata dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti che ha sottolineato però le difficoltà di far accettare questa «opzione» dall’Unione europea dato che significa spendere di più nell’immediato (per chi decide di anticipare il collocamento a riposo) anche se nel futuro si risparmia (grazie ai trattamenti più contenuti). Peraltro l’eventuale intervento inserito nella legge di stabilità (e quindi in vigore dal 2016) rischia di essere fagocitato almeno in parte dall’aumento dei requisiti che scatterà proprio il prossimo anno (4 mesi per tutti a causa dell’incremento della speranza di vita, un anno e 10 mesi per le donne del settore privato grazie al percorso di avvicinamento all’età di uscita degli uomini che si concluderà nel 2018). La flessibilità in uscita con penalizzazioni, ha detto Poletti «è una delle opzioni». Il panorama però, ha spiegato il ministro, è «molto diversificato» e oltre al problema di chi vorrebbe anticipare il collocamento a riposo esiste quello di chi perde il posto senza avere i requisiti pensionistici. Per queste persone bisogna studiare un ammortizzatore sociale specifico o una soluzione «ponte» verso il pensionamento. «Ci dovremo occupare prima - ha detto Poletti - delle situazioni più delicate. Non dobbiamo alimentare aspettative». Poletti è tornato a difendere il jobs act dalle accuse di chi sostiene che ora sarà più semplice licenziare. «Non sarà molto più facile licenziare - ha detto - è una favola, ci sarà una modalità diversa e chi licenzia dovrà pagare». I sindacati hanno ribadito la richiesta di un tavolo di confronto sulle modifiche alla riforma Fornero ma hanno sottolineato che la flessibilità va introdotta senza penalizzazioni. Il numero uno della Uil Carmelo Barbagallo ipotizza una fascia di uscita tra i 62 e i 70 anni e chiede di reintrodurre le quote tra età e anzianità contributiva senza ulteriori penalizzazioni. Anche la Cgil dice no a nuovi tagli degli assegni previdenziali. «L’esigenza di flessibilità è ormai ineludibile - dice il segretario confederale Cgil Vera Lamonica - ma deve significare la modifica dei requisiti di accesso e quindi l’abbassamento delle soglie di età in cui è possibile andare in pensione, poiché quelle attualmente previste sono palesemente insostenibili».