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Data: 08/03/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Jobs act - Lavoro. Via al nuovo contratto, ecco le regole per i neoassunti

Da ieri sono entrate in vigore le norme che superano l’articolo 18 dello Statuto Il governo: «La riforma porterà l’Italia
fuori dalle secche della disoccupazione»

ROMA E adesso il Jobs act può passare dalle carte ai fatti. Con la pubblicazione venerdì in Gazzetta ufficiale dei primi due decreti attuativi, da ieri tutte le nuove assunzioni a tempo indeterminato saranno a «tutele crescenti». Una formula che sta a significare soprattutto una cosa: se dopo l’inserimento in azienda le cose dovessero andare per il verso storto - difficoltà economiche dell’impresa o anche scarso rendimento del lavoratore - il rapporto potrà essere scisso più facilmente. Senza il rischio che poi un giudice imponga il reintegro. A fronte di un licenziamento illegittimo (esclusi i discriminatori, per i quali nulla cambia, e un caso specifico di disciplinari) al lavoratore spetterà solo un risarcimento economico, «crescente» in base agli anni di permanenza in azienda. È la fine del vecchio articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Sia che la si veda come un evento positivo, sia che - è il caso dei sindacati - lo si giudichi in modo esattamente opposto, è sicuramente una rivoluzione per il mercato del lavoro italiano.
LA PLATEA

È bene comunque sottolineare ancora una volta che la nuova disciplina riguarda solo i neoassunti (giovani alla prima occupazione, ma anche meno giovani da ricollocare). Il 7 marzo 2015, quindi, segnerà una linea di demarcazione netta tra chi già lavora con un contratto a tempo indeterminato (per il quale, fin quando resterà nella stessa impresa, restano in vigore le vecchie tutele, compreso l’art.18) e i nuovi assunti. E questo vale sia per i licenziamenti individuali, che per quelli collettivi. Le tutele crescenti, inoltre, non si applicano al pubblico impiego.
Per il governo è una scommessa importante. «Porterà l’Italia fuori dalle secche della disoccupazione» dice Renzi. E a chi paventa folle di licenziati, il premier replica: «Sarà il contrario, ci saranno molte più assunzioni che licenziamenti». A sua volta il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ribadisce: «Le imprese non hanno più alibi». Perché il contratto a tutele crescenti dà più certezze sulla «regolamentazione del rapporto di lavoro» ed è anche «conveniente», visto che può usufruire della decontribuzione triennale, che va ad aggiungersi agli sgravi Irap.
Non la pensano così i sindacati. «L’unica certezza» dice il leader Uil, Carmelo Barbagallo, è che «da oggi sarà più facile licenziare: inizia una nuova fase di insicurezza dell’era 2.0». La netta contrarietà della Cgil, a sua volta, è più che nota. Sono mesi che il sindacato guidato da Susanna Camusso non perde occasione per ribadirla. Ieri come oggi il governo però non sembra curarsene più di tanto, convinto com’è che questa sia la strada giusta. «Non mancherà un 20% di errori o di scontenti, ma accontentiamoci dell'80%» osserva Poletti.
I NUOVI SUSSIDI

Oltre al contratto a tutele crescenti, ieri è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale anche il decreto attuativo che dal primo maggio cambia i sussidi di disoccupazione. Le nuove sigle da ricordare sono Naspi (nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego), Dis-coll (sussidio per i collaboratori) e Asdi (prolungamento del sostegno per chi versa in condizioni disagiate). Il governo intanto ha già varato in via preliminare (in attesa dei pareri parlamentari) altri due pezzi del Jobs act: i decreti attuativi relativi al riordino delle tipologie contrattuali che ridurrà i co.co.pro, e la conciliazione dei tempi di vita e lavoro con più tutele per le lavoratrici madri.

Indennizzo al posto del reintegro

Per tutti i nuovi assunti di qualunque età cambiano le norme sul licenziamento per motivi economici e disciplinari. Non sarà più possibile chiedere il reintegro sul posto di lavoro, ma - se il licenziamento è ingiustificato - il lavoratore potrà ottenere un indennizzo crescente in base all’anzianità aziendale (2 mesi per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24). Per i licenziamenti disciplinari il reintegro resta solo se il fatto contestato al lavoratore «è insussistente».

Licenziamenti collettivi nella riforma

Per i licenziamenti discriminatori (sesso, razza, religione, convinzione politica o sindacale) o nulli, non cambia nulla: il lavoratore può sempre rivolgersi al giudice chiedendo il reintegro sul posto di lavoro. Rientrano invece nella nuova disciplina i licenziamenti collettivi. Per cui se un’azienda in difficoltà economiche gestisce gli esuberi senza rispettare i criteri di scelta della legge 223/ 91, agli assunti dopo il 7 marzo 2015 pagherà un indennizzo ma non sarà costretta a reintegrarli.

Per chi perde il posto sussidio fino a 1.300 euro

Dal primo maggio per chi perde il posto di lavoro arriva la Naspi: la nuova indennità potrà arrivare a 1.300 euro al mese (l’importo dipende dagli anni di lavoro); avrà una durata di 24 mesi per il 2015 e il 2016, di 18 mesi dal 2017. Previsto un decalage del 3% mensile dell’importo dal quarto mese. Per usufruirne servono 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti lo stato di disoccupazione e 30 giornate di lavoro effettivo nell’ultimo anno. Il provvedimento introduce in via sperimentale anche il Dis-coll per i precari.

Con il riordino dei contratti stop ai precari

Con il decreto attuativo sul riordino dei contratti (in attesa dei pareri del Parlamento) scompaiono il contratto di associazione in partecipazione e il job sharing. Dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto, non si potranno più assumere co.co.pro, salvo alcune eccezioni (vedi altro articolo). I contratti in essere varranno fino a scadenza e intanto, con la ridefinizione della nozioni di lavoro dipendente e autonomo, si tracceranno nuovi confini che scatteranno dal gennaio 2016.

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