Nelle pieghe del Jobs Act, oltre la scure che si è abbattuta trasversalmente sui diritti e sulle tutele dei lavoratori, si annida un vero e proprio cortocircuito legislativo. Riguarda la sorte di ‘Italia Lavoro’ (e per converso quella di Isfol), ovvero la società del Ministero dell’Economia che opera per legge come bene strumentale del dicastero del Lavoro “per la promozione e la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione sociale”.
La sua mission, come si legge dal sito, è quella di promuovere le politiche attive, occuparsi cioè della ‘occupabilità’ di chi non ha lavoro, eppure sembra avere al momento un destino segnato: su un totale di 1.240 lavoratori, circa 900 hanno contratti cosiddetti flessibili (una minima parte a tempo determinato, la restante – stragrande - parte sono collaboratori a progetto), tutti con una data di scadenza precisa e inappellabile. La dead line è il 31 marzo prossimo, esattamente tra venti giorni. Il paradosso è tutto qui. Mentre il governo costruisce una narrazione sui temi del lavoro, sulla flexsecurity, sul cambiamento (#cambiaverso) nell’approccio al tema del lavoro, si disfa di una risorsa preziosa e competente, cruciale per dare una spinta alle politiche attive, lasciando senza risposta (e senza prospettiva) 900 lavoratori precari, molti dei quali tali anche da più di dieci anni.
L'11 marzo, presso il Ministero del Lavoro di via Veneto, si è tenuto un incontro tra il governo, i rappresentanti dell’azienda e le organizzazioni sindacali, proprio sul futuro imminente di questi lavoratori e, in prospettiva, della stessa Italia Lavoro che dovrebbe (ma non è detto) essere un riferimento per la prossima Agenzia nazionale per l’occupazione. Prevista dalla legge delega, l’Agenzia dovrebbe occuparsi di politiche attive, riportando al centro il tema, e per questo strettamente legata alla riforma del titolo V della Costituzione. Insomma, al momento, non pare un processo di breve durata. Ecco perché, come giusto che fosse, la questione centrale dell’incontro è stata la sorte dei 900 lavoratori in scadenza. Va precisato che Italia Lavoro, oltre ad uno stanziamento previsto in finanziaria di circa 12 milioni di euro per spese di gestione, vive di finanziamenti europei, legati a progetti. Finanziamenti che sono nelle casse del Ministero del Lavoro e che, come emerso dall’incontro di oggi, bastano all’operatività di Italia Lavoro fino al 2020 e garantirebbero l’attuale base occupazionale.
Dopo quattro ore di incontro, con sotto a piantonare una nutrita delegazione di lavoratori di Italia Lavoro, provenienti da tante diverse sedi del paese, all’uscita i sindacalisti hanno improvvisato un’assemblea, per informare i lavoratori dell’esito dell’incontro. Davide Scialotti, della Fisac-Cgil interna a Italia Lavoro, ha fatto sapere che “i finanziamenti per i nuovi progetti ci sono e ammontano a 70 milioni, comprensivi dei 12 milioni previsti dalla Finanziaria, e questo ci tranquillizza, visto che coprono anche la base occupazionale”. Il problema è legato alla qualità contrattuale dell’occupazione perché, ha riferito Scialotti, “sulle tipologie contrattuali l’unica strada percorribile, secondo il Ministero, è quella dei co.co.co. ma bisogna aspettare i tempi tecnici che ci spingono a maggio inoltrato. C’è quindi un buco di circa due mesi”. Due mesi di vuoto, senza alcuna previsione (vista la natura di Italia Lavoro) di stabilizzare i dipendenti. Nei prossimi giorni, ma non è ancora stabilito quando, dovrebbe tenersi un nuovo incontro. Il Ministero ha però assicurato una velocizzazione dei tempi delle procedure. Eppure rimane in piedi il paradosso: condannare alla perpetua precarizzazione, lavoratori che dovrebbero occuparsi di rendere le persone più occupabili.