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Data: 18/03/2015
Testata giornalistica: Il Centro
La cricca delle tangenti - Lupi sotto pressione: «Non mi dimetto». Renzi tace. Delrio: «Il ministro sta valutando». Mozione di sfiducia da parte di Sel e M5S. E spunta il nome di Alfano

ROMA Maurizio Lupi non pensa a dimissioni e resta al suo posto, una resistenza accompagnata dal silenzio assordante del premier. Lupi pensa al figlio Luca, tirato in ballo nell’inchiesta “Sistema” per un incarico, un presunto favore della “cricca”, e un Rolex da 10mila euro in regalo: «Provo soprattutto l’amarezza di un padre nel vedere sbattuto il proprio figlio senza colpa in prima pagina come un mostro». Ma il ministro, investito dal ciclone sul meccanismo corruttivo che secondo la procura di Firenze era di stanza nel dicastero delle Infrastrutture, non intende fare passi indietro, benché Matteo Renzi, raccontano fonti parlamentari, aspetti la sua decisione di rimettere il mandato. Nonostante il ministro non sia indagato, la questione è di opportunità politica. Il presidente del Pd Matteo Orfini esprime preoccupazione: «Ci sono cose che destano inquietudine. C’è assoluta necessità che si chiariscano alcuni aspetti, poi si faranno le valutazioni» dice, mentre il sottosegretario Graziano Delrio sottolinea: «Ci sono valutazioni politiche che si faranno. Poi c’è una decisione che spetta al singolo e credo che sia in corso una valutazione da parte del ministro». Ricorda Pippo Civati: «La vicenda mi pare più grave di quella del ministro Cancellieri, per la quale Renzi chiese le dimissioni». Il partito insomma chiede chiarezza. E l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani a proposito dell’inchiesta commenta: «A Cantone voglio bene, ma non si può far passare qualunque opera in emergenza perché tanto poi c’è lo sceriffo...». Da ieri su Lupi pesa poi la mozione di sfiducia presentata alla Camera dal Movimento 5 Stelle e da Sel, a cui si aggiunge la richiesta della Lega che, con le dimissioni di Lupi, chiede anche la rimozione di Angelino Alfano. Il nome del ministro dell’Interno spunta in un passaggio dell’ordinanza che ricostruisce il presunto strapotere sulle grandi opere di Ercole Incalza, ex capo della Struttura tecnica di missione del ministero. A colloquio sono Franco Cavallo (oggi presidente di Centostazioni, all’epoca per l’accusa ufficiale di collegamento tra il ministero e l’imprenditore Stefano Perotti) e l’imprenditore Claudio De Eccher, che al momento della conversazione è sottoposto a misura di prevenzione del prefetto di Udine. La circostanza «agita» Perotti. La sua società, la Rizzani De Eccher, nel 2013, ha ottenuto l’appalto per la prosecuzione dei lavori di adeguamento idraulico del torrente Mugnone a Firenze. Il 16 luglio 2014 De Eccher chiede a Cavallo un intervento sul ministero degli Interni, richiesta ribadita in una e-mail: «Ti chiedo il grande favore di informare il nostro comune amico con preghiera di urgente intervento sul ministro degli Interni». Il 18 luglio, dopo aver visto Lupi, Cavallo informa De Eccher: «Ho parlato con lui, aveva già parlato sia con l’avvocato sia con Angelino» gli dice. Per Matteo Salvini è abbastanza: «Mi aspetto che il ministro dell’Interno o il presidente del Consiglio vengano in Parlamento a spiegare agli italiani se è tutto falso o se c’è qualcosa di vero – dice – Non possiamo avere ministri con ombre del genere». A rendere ancora più pesante la giornata per Lupi e Alfano è una frase di Incalza, riportata dal gip, che racconta a una donna «di avere trascorso la notte a redigere il programma di governo che l’Ncd avrebbe dovuto presentare e di essere in attesa del benestare di Alfano e di Lupi». Per Lupi, che durante la giornata sente più volte al telefono Renzi, si profila intanto la prova dell’Aula. Su richiesta della Lega, la conferenza dei capigruppo del Senato ha chiesto all’unanimità al ministro di riferire sulle vicende che hanno portato lunedì all’arresto di Incalza, Perotti, Cavallo e di Sandro Pacella, strettissimo collaboratore del primo. Per il leader di Sel Nichi Vendola le dimissioni di Lupi «sono dovute», assieme alla «bonifica radicale» del ministero. La credibilità dello Stato, afferma, «è ampiamente compromessa» e Renzi «non può cavarsela con un tweet». Sul blog di Beppe Grillo i parlamentari Cinque Stelle citano un passaggio dell’ordinanza del gip, da cui emergerebbe che a scrivere a Lupi la risposta a una interrogazione su Incalza sarebbe stata l’avvocato di questi, Titti Madia: «Il cognome non vi suona nuovo? Certo, è la zia del ministro Marianna Madia (lo dice lei stessa)». Incalza, proseguono, «era già stato sgamato dai portavoce 5 Stelle», che in un dialogo tra la figlia di Incalza, Antonia, e Pacella, affermano, vengono definiti «i soliti rompimenti di coglioni». Grillo attacca «Alfano l’analfabeta»: «Si è fatto scrivere il programma del partito da un faccendiere». Replica Gaetano Quagliariello: «Millanteria telefonica» a cui abboccano «accolite di saltimbanchi quali il blog di Grillo», dice: «Il programma è stato pensato e redatto dalle donne e dagli uomini dell’Ncd».

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