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Pescara, 24/11/2024
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19/03/2015
Il Messaggero
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La cricca delle tangenti - Lupi in aula: «Il governo mi difende». Inchiesta sugli appalti, il ministro fischiato a Milano: «Almeno il vestito è tuo?». Poi alla Camera M5S sventola orologi sui banchi. Il ministro: resto, il Pd dovrà sostenermi. Ncd: siamo con lui, speriamo non molli... |
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ROMA Che sarebbe stato uno dei giorni più lunghi della sua vita Maurizio Lupi lo aveva chiaro prima ancora di farsi il nodo alla cravatta. L’ultimo da ministro? Respiro profondo e via. Non è ancora il momento di dare (e darsi) certe risposte. È un giorno da linea Maginot, deve essersi detto, guardandosi allo specchio. L’agenda è rimasta la stessa. Come se intercettazioni, carte dell’inchiesta, arresti, fango non ci fossero mai stati. Tutto invariato, dunque: volo Alitalia, ore 9, destinazione Milano. E all’aeroporto di Fiumicino la prima sorpresa: l’incontro ravvicinato con la troupe di Servizio pubblico e la prima intervista involontaria. VIA CRUCIS
Da quel momento in poi è partito il rullo e non si è fermato più. L’arrivo a Linate, il trasferimento a Rho per l’inaugurazione di Made Expo, rassegna dell’architettura, del design e dell’edilizia. Un’abbuffata di serramenti, hi tech, materiali da costruzione gli passano davanti agli occhi in dissolvenza con i suoi pensieri. Il tempo di girare i padiglioni con il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, fermarsi agli stand, abbozzare una dichiarazione formale, «bisogna far ripartire l’industria, la sfida che avevamo lanciato comincia a dare i risultati» e poi si inizia a ballare. Telecamere e i flash lo aspettano più avanti, insieme alla madre di tutte le domande: si dimetterà? «Renzi non mi ha chiesto nessun gesto spontaneo, io credo che sia assolutamente doveroso da parte di un ministro rispondere in Parlamento alle legittime domande che sono sorte dall’inchiesta di Firenze. E in questo modo si possa andare in Parlamento così che io possa spiegare le ragioni delle scelte fatte in questi 18 mesi». IL PROCESSO
Calca, spintoni, qualche urlo: «Dimettiti!». Domande buttate lì: «Che fai, il Rolex lo restituisci?». Risposta: «Se mi fosse stato dato un orologio da ministro non lo avrei accettato». Un operatore con la telecamera sbatte contro l’arredo di un stand. L’espositore si infuria. Vede Lupi. S’ode un «ma almeno quel vestito è tuo?». E il ministro: «Non ho bisogno che nessuno mi regali gli abiti». È un brutto quarto d’ora, c’è tensione. «Ribadisco, non ho fatto pressioni per chiedere l’assunzione di mio figlio. Non può essere un peccato aver scelto di fare ingegneria quando ancora non mi sognavo di fare il ministro. Per mio figlio Luca parla il curriculum e il 110 e lode». Tornano alla mente le monetine del Raphael, la statuetta contro Berlusconi, il rischio che l’esposizione fisica comporta in questi casi. Invece tutto si risolve in una - non trascurabile - jacquerie: un processo a cielo aperto, celebrato all’istante e al quale Lupi non si sottrae. «Io chiedo scusa innanzitutto alla mia famiglia, ai miei amici, alle persone che credono in me e quindi agli italiani. Se avessi fatto o se fosse riscontrato che abbia fatto qualsiasi gesto che sia sbagliato e irresponsabile, finché io ritengo di non aver fatto nessuno di questi gesti, quando si dimostrerà esattamente l'opposto ne prenderò atto, perché sarebbe giusto non solo prendere atto ma anche chieder scusa a tutti». La prima tappa della personalissima via crucis del ministro sta finire. E Lupi avrebbe un gran voglia di riparare nella sua casa milanese, (Baggio non è lontana). Alle telefonate che arrivano risponde con un grazie. Ma sono quelle che non arrivano a preoccuparlo. Lo chiamano gli amici, i colleghi di partito. Non chi lo vuole fuori. Anche se in Aula dirà: «Il governo mi difende». E dal Pd Fassina attacca: «Si assuma la sua responsabilità politica». SOLO PEONES
Finita la prima la contestazione inizia il rodeo. Alle 15 è atteso alla Camera per rispondere al Question Time, interrogazioni che attengono al sistema-Incalzi, documenti di sindacato ispettivo. La scena madre dice già tutto: l’Aula semi-vuota a parte Sel e i grillini che lo aspettano al varco; i banchi democrat deserti, solo peones. C’è Alfano al suo fianco, il ministro Poletti e i due sottosegretari Giacomelli e Toccafondi. Il governo ha già disertato, non si spenderà per Lupi. Il premier Renzi che arriva dopo di lui si tiene a distanza secondo alcuni per evitare una foto ricordo che potrebbe imbarazzarlo. I due si erano incontrati la sera prima e lasciati in modo interlocutorio: «Pensaci bene, Maurizio». «Ci rifletterò, Matteo». Torniamo a Lupi in pasto ai grillini. Una quindicina di deputati M5S che agitano orologi e scalpitano. Parte il coro: «Di-mi-ssioni! Di-mi-ssio-ni! Dimi-ssioni!». Il ministro non batte ciglio, tamburella nervoso una biro sul tavolo, quasi a tenere il ritmo. Un’ora dopo è al Viminale in un vertice infinito con Alfano e Quaglierello. In serata c’è una mezza idea poi rientrata di andare da Vespa a Porta a Porta. Ma a dire cosa? E domani? E gli altri giorni che verranno? Tutti così?
Il ministro: resto, il Pd dovrà sostenermi. Ncd: siamo con lui, speriamo non molli...
ROMA «Ormai è una guerra di nervi, Renzi cerca di giocare con me come il gatto con il topo...». Maurizio Lupi, al terzo giorno nel tritacarne, a sera non trattiene la rabbia. Non si aspettava la solidarietà dal premier e dal Pd: «Sarebbe stato chiedere troppo», commenta amaro. Ma neppure che «Renzi facesse il doppio gioco»: «A me non ha mai chiesto di dimettermi, ha detto e ripetuto che la scelta spetta a me e al nostro partito», confida il ministro delle Infrastrutture agli amici del Ncd dopo un nuovo, lunghissimo, vertice serale con Angelino Alfano e Gaetano Quagliariello al Viminale, «e invece fa trapelare che dovrei lasciare, che per ragioni di opportunità politica sarebbe meglio evitare di andare alla conta in Aula sulla mozione di sfiducia, perché non sa quanti deputati del Pd sarebbero disposti a difendermi. Balle. La verità è che vorrebbe che io mi facessi da parte per toglierlo dall’imbarazzo». LA TENUTA PSICOLOGICA
Parole che la dicono lunga sul reale stato dei rapporti tra Renzi e Lupi. Parole che aprono definitivamente, dopo un iniziale fair play, le ostilità nel governo e nella maggioranza. Ma più tempo passa, più escono notizie come l’elenco dei regali e il biglietto aereo pagato alla moglie da Franco Cavallo (uno degli arrestati dai magistrati fiorentini), più nel Ncd crescono i timori per la «tenuta psicologica» di Lupi: «Maurizio è molto provato, stanno colpendo ciò che gli è più caro. Dopo il figlio è finita nel mirino anche la moglie per la storia del biglietto. E’ possibile che getti la spugna per strappare la famiglia dalla gogna mediatica». Tant’è che in serata, dopo un nuovo incontro con Alfano e Quagliariello, comincia a circolare la voce di «dimissioni imminenti»: «La pressione continua ad aumentare, Maurizio sta prendendo in considerazione l’idea di lasciare», dice un alto esponente del Ncd. Tra l’altro Alfano, «oltre a confermare a Maurizio piena fiducia, gli sta consigliando prudenza». Eppure, Lupi si mostra determinato a giocare tutt’altra partita: «Se mi dimettessi sarei politicamente morto. E poi, non ho fatto nulla, perché dovrei lasciare? Il mio passo indietro sarebbe interpretato come un’ammissione di colpa». E per riuscire a strapparsi quanto prima «a una vergognosa gogna mediatica che non risparmia neppure i miei familiari», fa sapere di voler celebrare il prima possibile l’informativa parlamentare sull’inchiesta di Firenze che lo lambisce (domani dovrebbe essere il giorno buono). Ma, soprattutto, dice di voler andare rapidamente al voto sulla mozione di sfiducia presentata da Sel e dai Cinquestelle alla Camera: «Voglio vedere Renzi e il Pd sostenermi votando “no” alla sfiducia, altrimenti cade il governo...». «NON SIAMO CARTA IGIENICA»
Renzi invece sta lavorando alacremente, con una forsennata moral suasion, per spingere Lupi a dimettersi prima del voto. «Così spera di salvare la faccia», sibila un alto esponente del Ncd, «ma noi non siamo mica carta igienica, non siamo gente usa e getta. Siamo parte del suo governo e ci deve difendere, tanto più che Lupi non ha fatto assolutamente nulla». Che questo sia il nodo, l’ha confermato indirettamente Lupi. Nell’Aula di Montecitorio, «dove sono andato a mettere la faccia per dimostrare che non ho paura di nulla e di nessuno, perché non ho fatto un bel niente», ha dichiarato: «Rispetto alle legittime richieste di chiarimenti sull’inchiesta in corso, ritengo doveroso, indispensabile e urgente fare chiarezza quanto prima». Frase ripetuta, tale e quale, qualche minuto dopo, di fronte a una nuova bordata di una deputata Cinquestelle. «Tanto più che l’interrogatorio di Incalza dimostra l’estraneità di Maurizio da quella vicenda di malaffare», dice un altro deputato del Ncd, «Incalza ha detto e ripetuto di avere avuto con lui solo ed esclusivamente rapporti istituzionali». Se questo fosse l’epilogo, se Lupi dovesse decidere di resistere, il momento della verità scatterebbe domani con l’informativa alla Camera e poi la settimana prossima con il voto sulla mozione di sfiducia. E’ infatti probabile che la conferenza dei capigruppo fissi tra martedì e mercoledì la votazione sul destino del ministro. Ma fino ad allora tutto può accadere. Dimissioni comprese, appunto. Cresce infatti l’ostilità di Renzi: a Lupi non è sfuggito (naturalmente) che il premier non sia stato presente durante il question-time. «Renzi ha addirittura atteso che Maurizio uscisse dall’aula, per entrare. E pur di non incrociarlo ha scelto un ingresso diverso dal consueto», gli hanno fatto sapere i parlamentari centristi. IL CONTROLLO INFRASTRUTTURE
Ma c’è di più. C’è anche la lotta per il controllo del potente ministero delle Infrastrutture. Lupi deve ancora nominare il successore di Incalza a capo della struttura tecnica di missione: il cuore e la testa del dicastero di Porta Pia. Tant’è che ne parlò giovedì scorso con Renzi a margine del Consiglio dei ministri che ha licenziato la riforma della scuola. Ma il premier, che già in passato ha tentato di trasferire a palazzo Chigi la struttura tecnica di missione, secondo Lupi vuole scippargli il controllo delle infrastrutture. Tema antico, finito in una intercettazione in cui il ministro (in dicembre) minacciava la crisi di governo se la struttura tecnica di missione guidata da Incalza fosse stata trasferita da Porta Pia a palazzo Chigi.
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