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Data: 21/03/2015
Testata giornalistica: Il Centro
Lupi si dimette in un’Aula semivuota «Lascio il governo a testa alta, il tempo sarà galantuomo». Per il Pd «esecutivo più forte». M5S: «Restituisca gli stipendi». L’interim a Renzi «Ma i magistrati non dettino l’agenda»

ROMA «Lascio il governo a testa alta, guardandovi negli occhi. So che il tempo sarà galantuomo, spero che lo sarà anche con chi ha speculato sul nulla». Dopo averle annunciate a “Porta a Porta”, Maurizio Lupi formalizza le sue dimissioni in un’aula di Montecitorio quasi deserta. Visibilmente emozionato e provato da giorni e giorni di strenua resistenza, l’ex ministro delle Infrastrutture non rinuncia ad uno scatto d’orgoglio, difende il lavoro fatto fino ad oggi e grida la sua innocenza. Le ragioni del suo passo indietro, insomma, sono tutte politiche. «Sono qui per rivendicare il ruolo decisivo della politica. Non devo difendermi e non chiedo garantismo perché non ho ricevuto nessun avviso di garanzia» scandisce Lupi, che spiega di essere a Montecitorio per «sensibilità istituzionale» ma anche e soprattutto per difendere la sua famiglia. «Dimettendomi da ministro non mi sono dimesso né da padre né da marito... Per me gli affetti vengono prima di tutto e di certo prima di una poltrona». Ad ascoltare la sua accorata difesa sono appena un centinaio di deputati. Della Lega non si vede nessuno. Il Pd è a ranghi ridotti. Gli scranni di Forza Italia sono quasi tutti vuoti. I 5 Stelle, invece, ci sono e si fanno sentire mentre sul banco del governo oltre a una pattuglia di sottosegretari guidata da Delrio e Lotti, si vedono i ministri Ncd, Alfano, Galletti e Lorenzin più quelli del Pd, Orlando, Madia e Gentiloni, che restano immobili e concedono solo qualche timido applauso. Ma Lupi, che ieri è salito al Quirinale per parlare con Sergio Mattarella e nel pomeriggio ha incontrato anche Renzi a Palazzo Chigi, tira dritto. Spiega che le sue dimissioni serviranno a «rafforzare l’azione del governo» e ribadisce per l’ennesima volta che al di là dei retroscena, Renzi non gli ha mai chiesto di dimettersi. Poi risponde alle principali accuse che gli sono state rivolte: la mancata rimozione di Ercole Incalza e la raccomandazione del figlio per un posto di lavoro. Incalza non è stato rimosso perché pur essendo stato più volte indagato, «non è mai stato condannato». Quanto al figlio, Lupi dice di non aver mai chiesto favori perché è «bravo». «Ho fatto quello che avrebbe fatto qualsiasi padre e cioè presentare al figlio una persona di esperienza...». L’unica autocritica riguarda il Rolex regalato da Perotti: «Non ho chiesto a mio figlio di restituirlo, se questo è il mio errore lo ammetto». E si passa al vestito sartoriale: «È evidente a tutti quanto sia inverosimile che un amico di famiglia da 40 anni abbia potuto accreditarsi a me regalandomi un vestito» . A ringraziare Lupi in Aula perché ora la maggioranza è «più forte e più credibile» è Roberto Speranza per il quale sulla lotta alla corruzione «il Pd non accetta lezioni da nessuno». Durissimo l’intervento dei 5 Stelle. «Intorno a lei ci sono squali pronti a sacrificarla per conservare un posto al governo» affonda Alessandro Di Battista, che sfida Lupi a «restituire» il salario guadagnato come ministro. Le parole più taglienti sono quelle di Fabrizio Cicchiito (Ncd), che ricorda al Pd i suoi sottosegretari indagati e definisce «inaccettabile» usare «due pesi e due misure» mentre Renato Brunetta (Fi) protesta perché le dimissioni sono state annunciate a “Porta a Porta” e attacca Renzi: «Lupi era l’unico resistente dentro questo esecutivo, dunque prima o poi doveva sloggiare».


Il premier lunedì da Mattarella per il nome del sostituto
Si fanno i nomi di Gratteri e dei fedelissimi Delrio e Lotti
L’interim a Renzi «Ma i magistrati non dettino l’agenda»

ROMA Un interim di qualche giorno, poi, dopo l’incontro di lunedì con Sergio Mattarella al Quirinale «nei prossimi giorni faremo le scelte conseguenti». Matteo Renzi da Bruxelles detta i tempi della successione di Maurizio Lupi al ministero delle Infrastrutture, qualche ora dopo la formalizzazione della sue dimissioni in aula a Montecitorio. «Le scelte si fanno davanti al presidente della Repubblica non in conferenza stampa», risponde il premier a chi gli chiede se davvero, dopo gli scandali di queste ore, sarà davvero Raffaele Cantone la carta che il governo vuole giocare per il delicatissimo ministero dei Trasporti. Per ora l’unica cosa certa è che, a differenza di quanto si era ipotizzato fino a giovedì, Renzi vuole chiedere il caso in tempi brevi. L’interim sarà lampo, giusto il necessario per pacificare la maggioranza e l’alleato Ncd dove è in corso una vera e propria rivolta contro Angelino Alfano, considerato troppo arrendevole nei confronti del capo del governo, addirittura un «traditore» per aver scaricato Lupi senza troppo complimenti pur di salvare il sottosegretario Castiglione. Al Ncd il premier avrebbe già offerto il dicastero degli Affari regionali, rimasto senza titolare dopo l’uscita della Lanzetta. Ma Gaetano Quaglieriello, cooridinatore degli alfaniani e in pole position per occupare il posto, non è interessato alla poltrona se non avrà dal governo deleghe significative, come il Mezzogiorno, ora nelle mani di Graziano Delrio. Nelle prossime ore, forse già stanotte se il premier rientrerà in tempo da Bruxelles, potrebbe esserci un nuovo incontro con Alfano per fare il punto della situazione, dopo il summit degli alfaniani a tarda sera. Restano sul campo ipotesi come lo spacchettamento delle Infrastrutture con i Trasporti da una parte e i Lavori pubblici dall’altra. In questo caso entrerebbe in gioco nomi pesanti come Mauro Moretti o Andrea Guerra. Al momento però sono solo ipotesi di scuola perché l’unica cosa certa è che Renzi non vuole neanche sentire parlare di rimpasto. A 40 giorni dall’Expo di Milano calano le chance di Raffaele Cantone e salgono le quotazioni di un altro magistrato, Nicola Gratteri, attualmente consulente di Palazzo Chigi sulla criminalità. «Io che sono un garantista considero positivo che vengano fuori indagini anche se devono rispettare tutte le regole previste dal nostro ordinamento sull’utilizzo della custodia cautelare e sull’utilizzo degli strumenti di indagine» spiega Renzi. Non aver paura delle indagini, ha aggiunto, significa sentirsi «liberi di non farci dettare le decisioni dai magistrati: le indagini non comportano in sè modifiche di natura politica». Per il premier il fatto che Lupi abbia fatto un passo no essendo indagato vuole dire che l’Italia è tornato un paese normale. «Per combattere la corruzione il modo più semplice è rendere più semplice il codice degli appalti», spiega ancora il premier. Quando alla poltrona delle Infrastrutture restano in campo anche scelte diverse. Renzi potrebbe approfittare della situazione per portare a Palazzo Chigi l’unità di missione per le grandi opere, un suo vecchio pallino. In questo caso due la scelta si ridurrebbe a due nomi: Luca Lotti, sottosegretario che già guida il Cipe, e Graziano Delrio che ha la delega ai fondi Ue.

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