Il processo Housework, questo il nome scelto per l’inchiesta per presunte tangenti in Comune, contava in primo grado 24 imputati che, nel febbraio 2013, sono stati tutti assolti dal collegio presieduto da Antonella Di Carlo. Il pm Gennaro Varone ha appellato 18 posizioni che, ieri, sono state scagionate dalla Corte d’appello dell’Aquila per insufficienza di prove. Ecco i nomi dei 18 assolti: Luciano D’Alfonso, Guido Dezio, Massimo De Cesaris, Angelo De Cesaris, Pierpaolo Pescara, Fabrizio Paolini, Rosario Cardinale, Giacomo Costantini, Nicola Di Mascio, Pietro Colanzi, Alberto La Rocca, Carlo Toto, Alfonso Toto, Giampiero Leombroni, Marco Mariani, Francesco Ferragina, Antonio Dandolo e Vincenzo Cirone. Nel caso di Dezio, l’ex braccio destro di D’Alfonso, il reato di tentata concussione per cui il pg aveva chiesto la condanna a due anni e sei mesi è stato riqualificato in corruzione ed è stata emessa la sentenza di assoluzione.di Paola Aurisicchio wPESCARA «Mi sento come Ulisse che torna a Itaca», dice Luciano D'Alfonso che guarda alla sua odissea «senza risentimento» ma con «dolore» e con «il rammarico» di aver interrotto il suo percorso politico. Il presidente della Regione ha appreso della sua seconda assoluzione a Napoli, la città dove ieri mattina si trovava per un impegno istituzionale mentre all’Aquila la Corte d’Appello era riunita in camera di consiglio per decidere il suo destino: anche in secondo grado D’Alfonso è stato assolto. Con lui, sono stati scagionati 17 imputati i cui nomi sono risuonati per anni nelle aule di giustizia, gli imprenditori Carlo e Alfonso Toto al dirigente del Comune Guido Dezio. Le prove sono insufficienti, ha detto la sentenza della Corte presieduta da Luigi Catelli affiancato da Aldo Manfredi e Armanda Servino, i giudici che hanno letto il verdetto intorno a mezzogiorno spazzando via per la seconda volta l’accusa di tangenti, già franata nel febbraio 2013 con l’assoluzione di massa, in quel caso con formula piena. Crolla così – è improbabile che il pg presenti ricorso in Cassazione – il maxi processo della procura pescarese, l’inchiesta del pm Gennaro Varone che il 15 dicembre 2008 costò gli arresti domiciliari all’allora sindaco di Pescara, tornato poi in libertà il 24 dicembre: il tempo di inaugurare il calice di Toyo Ito e di ricevere l’architetto giapponese che per l’allora sindaco la storia cambiò. Oggi, il presidente della Regione racconta quanto hanno pesato quegli anni. D'Alfonso, come sono stati questi anni? «Se li vedo da un lato questi 9 anni che ho alle spalle mi sembrano lunghissimi, se li vedo dall’altro mi sembrano cortissimi. Quello che è certo è che li avverto tutti perché non sono stati anni neutri». Chi le è stato vicino? «Bisogna distinguere tra i vari ambiti. Intanto, la mia famiglia ma, poi, ci sono stati la comunità politica a cui appartengo, il mio paese, la mia città e naturalmente l’avvocato Giuliano Milia che nel mio caso è tornato integralmente “umano”. Gli vorrei dire grazie sapendo l’intensità del lavoro che lo ha anche costretto a conoscere troppo a fondo il dolore. Nel mio caso, l’ho visto partecipe delle mie difficoltà iniziali e lo ringrazio: non posso dimenticare i 180 giorni in cui mi ha tenuto nel suo ambiente, quando ho iniziato a essere utile con la mia memoria». Qual è stato il momento più doloroso? «Quando ho toccato con mano la grandezza della sanzione, quando le forze dell’ordine sono entrate in casa mia per notificarmi il provvedimento: non hanno mai mancato di educazione e di accortezza. Ma devo fare una precisa distinzione tra alcune forze dell’ordine e altre. L’allora capo della squadra Mobile Nicola Zupo è stato sempre molto educato e ho percepito che era consapevole della delicatezza di quella missione, altri no». E chi? «Non faccio nomi, ma ho visto dall’altra parte atteggiamenti da safari». Che cosa pensa oggi D’Alfonso della magistratura? «Che è un sistema equilibrato costruito su una ponderazione di funzioni di responsabilità e che fa emergere la verità». E’ arrivato il tempo della riflessione, dell’esame di coscienza? «Io stesso mi farò un esame di coscienza. Quello che è certo è che la gravità di alcune situazioni mi evoca una grande assunzione di responsabilità e non mi lascia neutro. Oggi io mi sento come Ulisse quando torna a Itaca ma sono passati nove anni e mi dispiace che quando iniziò questa vicenda era il giorno della comunione di mio figlio Luca. Non ho nessuna fotografia con lui, non me la sentii quel giorno, ero letteralmente demotivato e credo che quello sia stato il giorno più brutto della mia vita. Spero di poter risarcire mio figlio. Sono stati anni in cui è accaduto di tutto: i tre anni di lavoro in Molise con il ritrovamento di un’attività lavorativa che mi appassiona, l’allontanamento della politica ma anche la conoscenza dal di dentro di migliaia di persone che frequentavo da anni». Al pm Varone che ha guidato la sua inchiesta cosa sente di dire? «Non provo risentimento intanto perché me l’ha insegnato mio padre e poi perché ci sono delle funzioni talmente complesse che a volte richiedono letture e riletture da parte delle autorità competenti soprattutto quando si è bombardati da denunce da parte dell’opposizione: una minoranza variopinta e minimalista che ha concentrato tutto il proprio tempo a demonizzare l’avversario. Sarebbe stato meglio per loro se si fossero dedicati a seminare progetti anziché odio». Chiederà il risarcimento per ingiusta detenzione? «E’ un’iniziativa che valuterò con il mio avvocato. Per formazione familiare sarei orientato a scavalcare questa vicenda ma mi consiglierò con il mio avvocato. Quello che è certo è che, nel confronto politico, non vorrò mai più avversari politici che considerino l'autorità giudiziaria come uno dei siti della lotta politica». Ha avuto un sogno ricorrente in questi anni? «Sì, mio nonno Antonio che è stato un segretario socialista che mi chiedeva se mi ero diplomato da perito agrario, una voce che quindi mi suggeriva di dedicarmi allo studio accanto alla politica. Ma ricorrenti nella mia testa sono state le parole del senatore, da poco scomparso, Nevio Felicetti: “Tieni duro”». Più volte in aula lei ha ricordato la sua amicizia con l’imprenditore Toto per giustificare i viaggi gratis. La sua amicizia è stata messa sotto processo? «Credo che se tornassi indietro renderei meno vistose alcune straordinarie amicizie che ho, ma se le ho avute è perché fa parte della mia natura ed è chiaro che può dare luogo a un’immaginazione. Non ho mai tenuto nascoste le mie relazioni e oggi le renderei forse meno vistose». Chi sono vincitori e vinti di questa storia? «Esce sconfitto chi ha progettato in sede politica tutto questo con denunce. E’ chiaro che di fronte a un bombardamento di questo tipo prima o poi gli organi giudiziari vanno a verificare. Lo sconfitto è chi ha scambiato il confronto politico con la guerra giudiziaria». Come festeggerà? «A casa, in famiglia. E spero di organizzare a stretto giro un evento in piazza Salotto». Farà tremare la piazza? «No, sarà una riflessione pubblica e politica su Pescara, sull’Abruzzo e su questa esperienza».