ROMA Tangenti camuffate da consulenze o da soggiorni di lavoro in alberghi esclusivi, la più importante opera pubblica di recente realizzata (almeno in parte) nel golfo di Napoli - la metanizzazione ad Ischia - completamente «asservita a un sistema criminale». Sono queste le accuse che hanno spinto il gip Amelia Primavera a disporre l’arresto del sindaco di Ischia Giuseppe (Giosi) Ferrandino, noto esponente del Pd, primo non eletto nella corsa al Parlamento europeo con 82mila voti. Un’inchiesta terremoto, che colpisce anche uno dei colossi dell’energia, il consorzio delle cooperative (Cpl), la modenese Concordia, storica coop rossa un tempo protagonista del miracolo emiliano.
L’inchiesta del pm napoletano John Henry Woodcock coinvolge nomi eccellenti sia del sistema imprenditoriale nazionale che del mondo professionale locale: in carcere finisce anche Massimo Ferrandino, fratello del sindaco, che avrebbe ricevuto consulenze e incarichi professionali dalla Concordia come avvocato, grazie ai «servigi» del primo cittadino nel portare avanti il progetto di metanizzazione anche in altri comuni dell’Isola; ma anche un pezzo di quel mondo delle coop che si credeva immune dalla corruzione. In carcere sono finiti il responsabile delle relazioni istituzionali del Gruppo Cpl Concordia, Francesco Simone, l’ex presidente, Roberto Casari (in pensione dal 30 gennaio, ma secondo i pm ancora «regista» degli affari della coop), il responsabile commerciale dell’area Tirreno, Nicola Verrini, il responsabile del nord Africa, Bruno Santorelli, il presidente del cda della Cpl distribuzione, Maurizio Rinaldi, e l’imprenditore casertano Massimiliano D’Errico. Ai domiciliari, invece, il dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Ischia, Silvano Arcamone, mentre per Massimo Continati e Giorgio Montali, rispettivamente direttore amministrativo e consulente esterno della Cpl scatta l’obbligo di dimora. Associazione per delinquere, corruzione, turbativa d’asta i reati contestati.
I FONDI IN TUNISIA
Una storia di presunti appalti truccati, che emerge dalle indagini condotte dal colonnello del Noe Sergio De Caprio: la possibile creazione di fondi neri in Tunisia, con operazioni schermate servite a creare provviste da cui attingere per pagare tangenti. Decisive le intercettazioni che fanno registrare non poca fibrillazione quando, nella primavera del 2014, il boss dei Casalesi Antonio Iovine decide di pentirsi e l’ex boss parla delle tangenti versate dal consorzio 30 in aria casalese, facendo esplicito riferimento al sistema di spartizione che coinvolgeva la politica.
Ferrandino avrebbe ottenuto oltre 300mila euro attraverso la stipula fittizia di due convenzioni nell’albergo di famiglia, ma anche una consulenza per il fratello avvocato. Adesso l’esponente del Pd campano si dice pronto a dimostrare la propria estraneità alle accuse, ma l’inchiesta, vede coinvolti anche nomi eccellenti del mondo politico che non risultano formalmente indagati, come Massimo D’Alema, invitato a Ischia da Ferrandino a presentare un libro a sua firma, del quale la Concordia avrebbe acquistato 500 copie. Ma dagli atti delle indagini sulla Concordia spuntano anche presunti contatti con ufficiali della Finanza (al momento vicenda priva di sviluppi) e uomini della cricca di Anemone e Balducci, personaggi dei servizi segreti. Una rete, quella della cricca, che sembra ancora attiva visto che nel 2013 Simone chiede un appuntamento ad Angelo Proietti e poi dice ai suoi: «Questo era l’uomo di Balducci, è il numero uno in Vaticano».
L’ira di Massimo: nessuna opacità I vini? Aiuto mia moglie a venderli «Si vuole infangare la mia onorabilità ma il nome di quel pm è una garanzia...».«Scandaloso diffondere intercettazioni non attinenti, può accadere a chiunque».
ROMA Massimo D’Alema non è irritato. Di più. Parlando con i suoi collaboratori, mentre sta a Salerno per partecipare a un convegno sul Mezzogiorno, gli vibra la voce: «Non c’è nulla di opaco nel mio comportamento. Io faccio tutto, e sempre, alla luce del sole». E però, per uno scherzo del destino, nelle carte dell’inchiesta del pm Woodcock - che è l’emblema del protagonismo dei giudici da sempre detestato da D’Alema - finisce il nome dell’ex premier. Il quale si toglie il gusto di pungere: «Il nome di Woodcock è una garanzia. Non per me che non c’entro e non sono indagato. Ma per gli altri. Non si ricorda un solo cittadino che sia stato condannato per i suoi procedimenti». D’Alema intanto è nel tritacarne mediatico e reagisce con quella durezza che gli si conosce: «Oggi c’è un ridotto tasso di credibilità non solo della politica ma anche della magistratura e del giornalismo. Questo aumenta la sfiducia e apre la strada al populismo». E ancora: «La diffusione di notizie e di intercettazioni che non hanno attinenza con le vicende giudiziarie è scandalosa e offensiva. Non capisco perchè un cittadino normale, che non ha più alcun incarico istituzionale, debba essere perseguitato in questo modo. Voglio lanciare un allarme: una cosa del genere può accadere a chiunque». E ancora: «Io ho soltanto aiutato mia moglie a vendere delle bottiglie di vino. Ed è tutto certificato, tutto fatturato». Tre etichette del loro vino, prodotto nella tenuta della Madeleine a Narni: il Narnot, il Nerosé, Sfide (prezzi al pubblico intorno ai 20 euro). Al centro dello scandalo. E allora lo sfogo privato (in condominio con la moglie Linda Giuva). Lo sfogo pubblico, a Salerno. La non rassegnazione all’idea che si debba sempre vedere qualche alone di scorrettezza o qualche ombra di chissà che cosa dietro ogni sua iniziativa politica e anche non politica, come nel caso dei vini.
NESSUN PARAGONE
Ora, a Salerno, nel Palazzo Arcivescovile che è sede del convegno, incalza: «Non c’entra nulla la mia vicenda con quella del ministro Lupi. Lui era ministro dei Lavori pubblici e lì ci sono dei vincoli comportamentali. Io non sono ministro, non do appalti. Io sono un qualsiasi cittadino in pensione». E ancora: «I pm non mi hanno indagato e, se avessi fatto qualcosa di male, mi avrebbero mandato un avviso di garanzia. Che rapporto c’è tra i reati di cui si parla in quelle carte e il fatto che io possa avere rapporti con le persone e aiutare mia moglie a vendere il vino? Questo fa parte della vita normale degli individui, mica è un reato». Ma la bufera è bufera. E questa che investe D’Alema arriva non solo nel giorno della direzione del Pd - dove molti sussurrano: «Davvero D’Alema è finito nei guai per una storia di vini?» - ma in una fase generale che per lui non facile. Perchè si trova in minoranza contro lo strapotere di Renzi e anche persone che gli devono tutto, da Cuperlo a Orfini, lo stanno pubblicamente criticando per il tono della sua battaglia anti-Matteo. E l’adorata Roma che non tocca più palla? Anche questo c’è: una passione sofferta e da ieri pure quella per i vini - la sua zona mentale di libertà e di gusto - l’ex premier se la vede invasa e buttata in un contesto mediatico-politico-giudiziario da cui sarebbe dovuta restare ampiamente fuori.
I LIBRI
E i rapporti con la cooperativa rossa che ha finanziato la Fondazione ItalianiEuropei? «Soldi leciti e certificati in bilancio. Una cosa è conoscere dirigenti di impresa e io, diciamo, ne conosco tantissimi. Altra cosa è che siano state pagate tangenti per la metanizzazione di Ischia. Una vicenda rispetto alla quale sono totalmente estraneo. Ho rapporti con la Concordia come con altre cooperative e aziende private». E la vendita dei libri? «Nessun beneficio personale, ma un'attività editoriale legittima, che rientra nel normale lavoro della Fondazione ItalianiEuropei». Gianluca Luongo, avvocato di D’Alema, è già all’opera. Ma resta quella che per l’ex premier è una grande questione, che in termini di legge anche l’attuale governo da lui non prediletto sta affrontando. «Non si possono - insiste Max - tirare in ballo le persone, soltanto per offendere la loro onorabilità». Se Renzi riuscirà a fermare il fiume impazzito delle intercettazioni, un applauso da D’Alema non potrà non riceverlo.