L’AQUILA «Sicuramente ho commesso degli errori. Ma anche quando ho sbagliato, ho sempre cercato di agire in scienza e coscienza. E rifarei tutte le “cialentate” che alla fine hanno portato i loro frutti». Il sindaco Massimo Cialente ripercorre gli ultimi sei anni, quelli più difficili e impegnativi della sua vita, da politico, ma anche da semplice cittadino. E potrebbero volercene altri cinque, per vedere finalmente ricostruita la sua città. Ha però fiducia nei giovani e nella loro voglia di fare. Intanto denuncia la mancanza di risorse umane: «Abbiamo in cassa 1,2 miliardi, ma non ci sono dipendenti per mandare avanti i progetti». Sindaco, il primo pensiero per la sua città, appena sveglio? «Il primo pensiero per la mia città è “ripassare” gli ultimi pensieri della sera: tutte le cose in sospeso, da richiamare e da portare avanti. E dalle 7,30 iniziano le telefonate di lavoro. Ogni mattina riprendo il filo dei problemi che avevo in testa nel momento in cui sono andato a letto. Così tutti i giorni». Da quella tragica notte quanto pesa – se pesa – indossare la fascia da primo cittadino? «Pesa terribilmente, sia in termini di impegno, sia in termini di problemi. In fondo il mio, il nostro, impegno è doppio: guidare la vita amministrativa di un Comune uguale a quello di tante altre città italiane e nello stesso tempo ricostruire case, tessuto sociale, economia di una città e di un cratere distrutti dal sisma. Due binari paralleli, che finiscono per intrecciarsi in continuazione. Ma la fascia pesa soprattutto in termini di un’enorme responsabilità nei confronti dei cittadini, che da me si aspettano risposte su tutti i problemi, dai più grandi ai più piccoli, in una fase difficile delle loro vite». La città è stata ricostruita. Quanto manca e cosa manca per questo annuncio? «Oggi mancano donne e uomini per mandare avanti l’esame dei progetti, la loro approvazione, la verifica e la liquidazione dei Sal. Siamo infatti in una fase esattamente opposta a quella degli anni precedenti: abbiamo i fondi, solo per quest’anno 1,2 miliardi in cassa, pari a 100 milioni di lavori da far partire ogni mese, ma non abbiamo risorse umane nell’Ufficio speciale per la ricostruzione dell’Aquila e nel Comune per assicurare questo ritmo. Se queste energie ci verranno date transitoriamente per una trentina di mesi, credo che la parola fine alla ricostruzione si potrebbe mettere tra quattro anni per tutti i centri storici, compresi quelli delle frazioni. E tra cinque potremmo aver completato interamente l’opera di ricostruzione. È un risultato a portata di mano: L’Aquila completamente ricostruita a undici anni dal terremoto che l’ha devastata». Guardando indietro, rifarebbe tutto quello che ha fatto negli ultimi sei anni? «Rifarei tutto, comprese le famose “cialentate”, atti per me non facili, ma che si sono rilevati salvifici per molti aspetti e in tante occasioni. Sicuramente penso di aver commesso tanti errori, a gran parte dei quali ho potuto mettere riparo con molta fatica. Mi assolvo, solo perché anche quando ho sbagliato, l’ho sempre fatto cercando di agire in scienza e coscienza». Ha fiducia nelle nuove generazioni cresciute in una città terremotata? «Assolutamente sì. Sto assistendo al fiorire di una nuova consapevolezza tra i nostri giovani, i quali hanno capito che oggi si deve puntare su se stessi, sul proprio talento, facendo rete con gli altri. Vedo una gran voglia di fare e, soprattutto, un grande amore per la loro, la nostra, città. Ed è per questo che sono fiducioso per il futuro, perché sono certo che sta venendo su una nuova classe dirigente molto più consapevole di quelle che l’hanno preceduta».