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Data: 07/04/2015
Testata giornalistica: Il Centro
Def, via ai tagli di spesa per anestetizzare l’Iva il governo e la crisi

ROMA Secondo tradizione la vigilia del varo del Def, il documento di economia e finanza del governo che deve fissare i parametri di bilancio pubblico per i prossimi tre anni, è contrassegnata da appelli e polemiche. La voce più alta ieri è stata quella dei sindaci: «Chiediamo di essere ascoltati prima che si emani il Def - ha sostenuto il presidente dell’Anci Piero Fassino alla vigilia della riunione del Consiglio dei ministri con all’ordine - in modo che si possa avere un confronto aperto e che possiamo avanzare le nostre proposte». «Si tenga conto soprattutto - ha sottolineato Fassino - che, negli ultimi sei anni, è stato chiesto ai Comuni uno sforzo finanziario notevole, proporzionalmente superiore rispetto a quello chiesto ad altri livelli istituzionali, in particolare si è chiesto molto più ai Comuni che alle amministrazioni centrali». «Diciamo chiaramente che non si può continuare a chiedere ai Comuni - ha continuato Fassino - perché troppo spesso si dimentica che quando si parla di spesa dei Comuni si parla di asili nido, di scuole materne, di assistenza domiciliare agli anziani, di trasporto pubblico locale, di difesa del suolo, di politiche culturali. I soldi i Comuni li spendono così e guardare ai Comuni come centri di spesa parassitaria è un errore a cui bisognerà, prima o poi, porre rimedio. «I sindaci hanno chiesto alcune settimane fa il varo di un decreto enti locali ad hoc per risolvere alcune questioni ancora aperte, tra cui quella del fondo di 625 milioni, indispensabile per non veder ridotto il gettito, dal passaggio dall’aliquota Imu a quella Tasi, per circa 1.800 Comuni. Tra gli allarmi lanciati da Fassino anche quello sulle risorse delle nuove città metropolitane: «Il 9 aprile ho convocato i sindaci delle città metropolitane perché nel momento in cui questa istituzione nuova nasce rischia di non decollare per l’esiguità delle risorse di cui dispone». Comunque il Cdm di oggi non approverà tutto il pacchetto dei provvedimenti connessi al Def ma darà il via libera solo al nuovo quadro macroeconomico fissato nel Def, lasciandosi invece qualche giorno in più, fino a venerdì, per definire il piano nazionale di riforme, allegato al documento. Come annunciato dal premier Matteo Renzi, la crescita dovrebbe assestarsi quest’anno a +0,7% (contro il +0,6% stimato in autunno) e il rapporto deficit/Pil dovrebbe essere invece confermato al 2,6%, come emerso dopo la correzione da 4,5 miliardi inserita nella legge di stabilità. Il prossimo anno l’indebitamento netto potrebbe essere leggermente superiore all’1,8% stimato fino ad oggi, per consentire al governo, spiegano fonti informate, maggiori margini di manovra mentre il governo punta ad ottenere la deroga dalla Ue almeno sino al 2018 per il raggiungimento del pareggio di bilancio. Gran parte della manovra deve essere focalizzata sulla cosiddetta spending review se si vuole evitare l’innalzamento dell’Iva che secondo le stime più accreditate produrrebbe una contrazione del Pil almeno dello 0,7% e una riduzione dei già magri investimenti dell’1,7%. Per evitare la clausola di salvaguardia sono necessari da 11 a 13 miliardi quindi il Def dovrebbe muoversi su un ammontare complessivo compreso tra 22 e 25 miliardi di euro. La clausola di flessibilità ottenuta da Bruxelles è pari allo 0,5% del Pil e permetterebbe di spostare il pareggio di bilancio al 2018 e spostare in avanti la così detta clausola di salvaguardia pari a 17 miliardi nel 2016 e 22 nel 2017. Un piccolo aiuto arriva dal Quantitative easing che dovrebbe ridurre ulteriormente la spesa per interessi di almeno 4-5 miliardi. L’aumento dell’Iva e delle accise, previsto dalla clausole di salvaguardia, costerebbe, infatti, 842 euro l’anno: secondo l’Osservatorio nazionale Federconsumatori, l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto comporterebbe un aggravio di 727 euro a cui si devono aggiungere i costi indiretti (come l’effetto dell’aumento dell’iva su gas ed elettricità), che ammontano a 87 euro. Infine l’incremento delle accise sui carburanti peserebbe per altri 28 euro, portando il totale a 842 euro. «Un importo insostenibile, soprattutto in un momento delicato e difficile come quello che il Paese sta attraversando», osservano Adusbef e Federconsumatori.

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