ROMA La parola d’ordine è prudenza. Una cautela e un’accortezza che quasi mai si erano registrate in un documento programmatico come quello di economia e finanza, che in passato era spesso stato definito come «un libro dei sogni». Nel primo giro di tavolo in consiglio dei ministri sul Def, l’asticella della crescita per il 2015 è stata alzata solo dello 0,1%, portando il Pil allo 0,7%. Di nuove riduzioni di tasse per ora non si parla. Il capitolo potrebbe essere riaperto, hanno spiegato Matteo Renzi e il ministro Pier Carlo Padoan, con la prossima manovra finanziaria solo se i risparmi di spesa, quantificati in almeno 10 miliardi e già impegnati per evitare l’aumento dell’Iva, daranno frutti maggiori di quelli preventivati. Ma dietro la prudenza si intravede il chiaro ottimismo del governo. «Il quadro macroeconomico migliorerà i risultati», ha detto Padoan, «e se si consolida la fiducia dei cittadini, delle imprese, dei mercati e delle istituzioni», ha aggiunto, «allora le aspettative potrebbero essere sbagliate per difetto e i numeri più positivi». La correzione al rialzo, spiega il governo, potrebbe esserci con la nota di aggiornamento prevista a settembre. Il ministro del Tesoro intanto ha messo nero su bianco le nuove previsioni. La crescita, come detto, sarà per quest’anno dello 0,7%. Il prossimo anno il Pil salirà dell’1,4%, dell’1,5% nel 2017, per poi tornare all’1,4% l’anno successivo. Rispetto alle stime dello scorso autunno, il prossimo anno l’economia italiana è prevista crescere di 0,4 punti in più. Questo, ovviamente, incide anche sui parametri europei, a cominciare dal deficit. A bocce ferme, se il governo non prendesse nessuna iniziativa, il deficit-Pil il prossimo anno si fermerebbe all’1,4% e l’Italia raggiungerebbe il pareggio strutturale di bilancio chiesto dai patti europei con dodici mesi di anticipo rispetto alla scadenza concordata con Bruxelles del 2017. È questo il quadro «tendenziale» dei conti italiani.
I MARGINI EUROPEI
Ma il governo non starà fermo. All’Europa chiederà di utilizzare quelle regole di flessibilità concordate con la Commissione a gennaio di quest’anno proprio grazie al lavoro della presidenza italiana. Roma si appellerà alla «clausola delle riforme», quella che permette di lasciar correre il deficit strutturale fino allo 0,5% del Pil nel caso in cui il Paese metta in cantiere provvedimenti in grado di far aumentare la crescita potenziale. L’elenco che il governo si prepara a portare a Bruxelles con il Piano nazionale di riforma è lungo. Nel documento allegato al Def si contano dodici riforme, dal jobs act, al Fisco, passando per la Pubblica amministrazione, per la giustizia e per la buona scuola. Per ognuno di questi provvedimenti il governo indicherà il potenziale impatto sul Pil. In cambio proporrà all’Europa di lasciare il pareggio strutturale di bilancio al 2017 e fissare per il prossimo anno un deficit all’1,8%, 0,4 punti di Pil superiore a quello «tendenziale». Significa avere subito a disposizione 6 miliardi di euro. Soldi che torneranno utili per disinnescare l’aumento dell’Iva e le atre clausole di salvaguardia, quantificate da Padoan in un punto di Pil, circa 16 miliardi di euro. Dieci miliardi, come detto, dovranno arrivare dai tagli di spesa e dalla revisione delle agevolazioni fiscali. Mentre una dote di 3-4 miliardi ci sarà grazie ai minori interessi sul debito. E proprio il debito pubblico è stato uno dei punti sui quali il ministro dell’Economia si è voluto soffermare. L’affacciarsi della crescita dopo tre anni di recessione, ha spiegato il ministro, consente di impostare un ciclo della fiducia. Un circolo virtuoso che «fa risalire la domanda e insieme alla revisione della spesa crea spazio per la riduzione delle tasse e la ripresa degli investimenti pubblici». Ma questa strategia, ha sottolineato Padoan, «si sviluppa entro il vincolo stringente dovuto all’elevato debito pubblico». Roma ha intenzione di rispettare fino in fondo la cosiddetta «regola del debito», quella che attraverso il pareggio di bilancio consente un percorso di riduzione costante. Se così non fosse, all’Italia potrebbe essere chiesta in qualsiasi momento una correzione dei conti di due punti di Pil. Una «ghigliottina», l’ha definita il ministro. Ma con le nuove stime di crescita il debito passerà dal 132,5% di quest’anno al 130,9% del prossimo, fino ad arrivare al 123,4% del 2018, perfettamente in linea con quanto richiedono le regole europee. Chiuso il fronte europeo, al governo rimane quello interno. Sindaci e governatori sono in rivolta per i tagli ai loro bilanci. Risanamento e spending review, sostengono, lo hanno pagato quasi tutto loro.