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Pescara, 24/11/2024
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Data: 13/04/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Fisco, nel 2015 da tasse e Pil più gettito per 11 miliardi. Nessuna nuova tassa ma effetto delle vecchie misure e della ripresa. Nel 2016 l’aumento sarà di 29 miliardi, ma il governo ne cancellerà 16.

ROMA Nel 2015, gli italiani pagheranno quasi undici miliardi di tasse in più rispetto all’anno precedente. La stima del governo si inserisce in un dibattito sulla pressione fiscale che finora ha riguardato soprattutto il periodo dal 2016 in poi, per il quale l’esecutivo si è impegnato a disinnescare l’oneroso aumento delle aliquote Iva. Ma il Documento di economia e finanza (Def), fotografando l’evoluzione dei conti pubblici, permette di farsi un’idea di quel che accadrà anche in tempi più ravvicinati. Dunque per quest’anno si prevede un incremento delle entrate tributarie pari a 10,7 miliardi (da 485,8 miliardi complessivi del 2014 a 496,5). Il Documento spiega che l’incremento è l’effetto «delle misure fiscali adottate e del miglioramento del quadro macroeconomico». Da una parte quindi ci sono i provvedimenti di questo stesso esecutivo e dei precedenti, dall’altro quel po’ di ripresa in corso che andrà almeno in una certa misura a gonfiare il gettito. A quanto pare però l’impatto del ciclo economico si farà sentire soprattutto sulle imposte dirette, indicate in crescita di oltre 10 miliardi, mentre quelle indirette (come la stessa Iva) normalmente sensibili all’andamento dell’economia, dovrebbero mantenersi ad un livello sostanzialmente stabile. È forte in percentuale (+51 per cento) la crescita delle imposte in conto capitale, ovvero straordinarie, che però rappresentano una frazione piccolissima e non significativa delle entrate totali.
Tra le misure adottate nell’ultima legge di Stabilità, che vanno ad aumentare il gettito, ci sono quelle che dovrebbero portare ad un recupero d’imposta potenzialmente evasa, attraverso i meccanismi del reverse charge e dello split payment, ma anche gli incrementi a carico del settore dei giochi, quelli che toccano fondi pensione, Tfr e polizze vita e altri ancora. Sull’altro piatto della bilancia stanno le misure di alleggerimento, la principale delle quali è l’eliminazione del costo del lavoro dalla base imponibile dell’Irap. Nel conto dovrebbe rientrare anche l’operazione 80 euro, i cui effetti però - come è ormai noto - non sono visibili nella riga delle entrate perché classificati come spesa sociale a seguito della scelta di inserite una voce separata e uguale per tutti in busta paga. Siccome quest’anno il credito d’imposta diventa strutturale mentre nel 2014 era stato erogato solo a partire dal mese di maggio, il saldo a favore dei contribuenti interessati è positivo per circa 3 miliardi, che quindi in questa visione sostanziale andrebbero sottratti ai 10,7 miliardi previsti.
I CONTRIBUTI
Se si guarda poi all’altra grandezza che concorre alla pressione fiscale complessiva, le entrate contributive, queste rimarranno sostanzialmente stabili nel 2015: il mancato incremento pur in un contesto di moderata ripresa dell’economia, dipende a sua volta da alcune scelte fatte nella legge di stabilità, quali ad esempio la decontribuzione per i nuovi assunti e il trasferimento in busta paga di una quota dei versamenti per il Tfr.
Cosa succederà negli anni successivi? Il Def spiega che «le prospettive di miglioramento della congiuntura economica ed i provvedimenti fiscali, con particolare riguardo alla legge di Stabilità 2015, continuano a produrre effetti positivi». Da questo punto in poi però entra in gioco accanto alla logica contabile quella politica, visto che il governo si è impegnato a cancellare le famose clausole di salvaguardia, la cui applicazione andrebbe ad appesantire il carico fiscale. Formalmente si stimano, nel 2016 rispetto all’anno precedente, maggiori entrate tributarie per 29,3 miliardi «ascrivibili per oltre la metà agli effetti, anche ad impatto differenziale, sia dei provvedimenti legislativi adottati in anni precedenti sia della legge di Stabilità 2015». Questo importo comprende però anche i quasi 13 miliardi che entrerebbero con l’aumento dell’aliquota Iva e altri 3 derivanti dalla clausola di salvaguardia introdotta dal governo Letta, consistente in un taglio lineare delle detrazioni fiscali. Somme che i contribuenti, in base all’impegno preso, non dovranno versare.

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