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Pescara, 24/11/2024
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Data: 17/04/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
L’Inps svela le pensioni del futuro: ecco per chi l’assegno può ridursi. Parte a maggio l’operazione trasparenza su data ed entità del trattamento: rischio di brutte sorprese.

ROMA Tra pochi giorni si parte davvero: dopo anni di dibattito, e una fase sperimentale che ha coinvolto 36 mila persone, da maggio cinque milioni di lavoratori iscritti all’Inps (si inizierà con quelli che hanno meno di 40 anni) saranno messi in condizione di sapere quando potranno effettivamente accedere alla pensione e a quanto - prevedibilmente - ammonterà il loro assegno. Decolla insomma l’operazione “busta arancione” che in realtà però non avrà il nome dell’analoga procedura svedese perché almeno in larghissima parte le informazioni non arriveranno per posta ma passeranno per il canale telematico: si chiamerà invece “La mia pensione”. Dal punto di vista dell’istituto e implicitamente anche del governo si tratta di un’operazione di trasparenza, come ha ripetuto ieri il presidente Boeri. Ma per i cittadini interessati l’effetto potrebbe non essere piacevole. Già nell’ambito della fase sperimentale (che deve ancora concludersi) oltre il 40 per cento dei partecipanti che poi hanno risposto al questionario ha segnalato di aver trovato un importo più basso - anche di molto - di quello che si attendeva; quasi la metà ha riscontrato un valore più o meno uguale a quello atteso e solo poco più del 10 per cento ha avuto una sorpresa positiva. Naturalmente le indicazioni finali dipendono in modo rilevante dalle informazioni alla base del calcolo: alcune sono in possesso dell’Inps, come il numero di anni di contribuzione e le regole previdenziali applicate all’età anagrafica dell’interessato, altre sono assunte come ipotesi di scenario (l’evoluzione dell’economia del Paese e delle retribuzioni individuali) altre ancora dipendono dalle scelte concrete dei lavoratori: l’ulteriore tempo di attività lavorativa, gli eventuali periodi da riscattare e così via.
LA DINAMICA DI CARRIERA
Per questo l’applicazione a cui si accede sul sito dell’Inps con il Pin fornito dall’istituto è in realtà flessibile, consente cioè di modificare alcuni di questi parametri: ad esempio la dinamica attesa per la retribuzione, che nell’ipotesi di base è dell’1,5 per cento annuo. Per valutazioni ancora più complesse, ad esempio gli effetti sulla pensione della scelta di lasciare il lavoro dipendente e mettersi in proprio, gli interessati potranno poi ottenere una consulenza presso gli uffici dell’Inps. In ogni caso il responso fondamentale che si ottiene, dopo aver approvato una serie di avvertenze tra cui quella che la simulazione non può aver nessun valore ufficiale, comprende data di pensionamento (eventualmente in base a due ipotesi successive, uscita anticipata e per vecchiaia) pensione mensile lorda, retribuzione al momento di lasciare il lavoro e tasso di sostituzione, ovvero rapporto il primo assegno previdenziale e l’ultima busta paga.
I TASSI DI SOSTITUZIONE
Così può capitare che un lavoratore nato nel 1951 con la maggior parte dei versamenti alla gestione dei commercianti, e un certo numero di “buchi” contributivi si ritrovi con un tasso di sostituzione intorno al 52 per cento pur con 2102 settimane di versamenti, ovvero oltre 40 anni: la pensione stimata tra il 2017 e il 2018 (espressa però in euro di oggi) è di circa 1.350 euro mensili lordi. Invece una lavoratrice relativamente giovane, nata nel 1978 (che quindi si ritroverà l’intera pensione calcolata con il sistema contributivo) se ha iniziato un rapporto di lavoro dipendente nel 2003, potrà contare nel 2048, alle soglie dei 70 anni, su un assegno pari a quasi l’83 per cento dell’ultima retribuzione. Qualora invece decida di smettere nel 2025, e attendere senza lavorare la data dell’effettivo accesso alla pensione, vedrà il tasso di sostituzione scendere poco al di sotto del 59 per cento: non di tantissimo tutto sommato, grazie alla rivalutazione assicurata dal contributivo coniugato con le più stringenti regole di uscita.
L’operazione verità da qui al 2016 coinvolgerà oltre 23 milioni di lavoratori iscritti all’Inps (purché abbiano un minimo di cinque anni di contributi): starà poi a loro decidere, sulla base delle informazioni ottenute, se fare qualcosa per migliorare il proprio futuro previdenziale. Potendoselo permettere naturalmente.

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