Proprietà e redditi spropositati rispetto al reddito lecito dichiarato. Alla famiglia Di Tella sono stati sequestrati beni per un milione e 800 mila euro. I finanzieri del comando provinciale, in applicazione della normativa antimafia, hanno eseguito in via d’urgenza il sequestro dei beni riconducibili a imprese legate all’imprenditore casertano Alfonso Di Tella e a suo familiari. Da anni trapiantato all’Aquila, Di Tella è stato arrestato, tra gli altri, insieme ai figli Cipriano e Domenico, nell’ambito dell’inchiesta “Dirty job” nel giugno dello scorso anno. Le indagini hanno fatto emergere un’infiltrazione nella ricostruzione post sisma di imprese edili «aventi elementi di possibile contiguità con la consorteria criminale di stampo camorristico denominata clan dei Casalesi», scrivono i militari delle Fiamme gialle. Alfonso Di Tella e i figli, insieme agli imprenditori Dino e Marino Serpetti ed Elio Gizzi, anche loro finiti nei guai nella stessa indagine, «si erano progressivamente affermati nel business della ricostruzione privata, quella caratterizzata da affidamenti diretti, cioè senza gara, fatti dagli stessi proprietari degli immobili danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009».
LE INDAGINI Il Gruppo investigazione criminalità organizzata (Gico) del Nucleo polizia tributaria dell’Aquila, coordinato e diretto dal procuratore della Repubblica e distrettuale antimafia, Fausto Cardella, e dal sostituto David Mancini, ha eseguito ulteriori indagini per accertare tenore di vita, disponibilità finanziarie e, più in generale, consistenza patrimoniale dei soggetti indagati, esaminando le attività economiche esercitate dai medesimi, per individuare le lecite fonti di reddito e verificare le sussistenze delle condizioni di applicabilità del disposto normativo presunto dall’art. 20 del D.lgs. 159/2011.
LO SCREENING Al termine dello screening patrimoniale è emersa la disponibilità, anche indiretta, in capo ai suddetti, di numerosi cespiti di valore sproporzionato rispetto al reddito lecito dichiarato, da ritenersi quindi frutto e/o reimpiego degli illeciti guadagni. Il provvedimento di sequestro, emesso dal Tribunale dell’Aquila, a seguito di richiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda) della Procura, è stato eseguito dal Gico in collaborazione con i colleghi dei comandi provinciali di Parma, Roma, Napoli, Benevento e Caserta e ha riguardato il patrimonio riconducibile ai Di Tella, tra i principali indagati di “Dirty Job”, costituito da terreni, immobili, beni mobili registrati, quote societarie, capitale sociale e l'intero patrimonio aziendale, comprese le disponibilità finanziarie detenute anche per interposta persona in valore sproporzionato al reddito dichiarato, da ritenersi frutto e/o reimpiego degli illeciti guadagni derivanti dalla commissione dei reati.
IL CARCERE I Di Tella, erano stati liberati dopo 100 giorni di carcere. L’inchiesta si trova ancora nella fase della chiusura delle indagini preliminari. La stessa famiglia è coinvolta anche in un altro filone d’inchiesta, riguardante presunte intrusioni nei sistemi informatici delle forze dell’ordine da parte di appartenenti alle stesse forze dell’ordine, per le quali gli stessi Di Tella avrebbero ricevuto utilità, dal punto di vista delle investigazioni in atto da parte della Dda dell’Aquila.