Quello che è accaduto è davvero spiacevole. Dobbiamo convincere 20 milioni di persone a venire a Milano a visitare l’Expo e sarebbe un vero peccato perdere questa opportunità». Sono amare le parole di Giuseppe Sala, commissario unico all’Expo, di fronte allo sciopero che ieri ha paralizzato per mezza giornata Milano. Tutte e quattro le linee della metro ferme, traffico in tilt, taxi e car sharing presi d’assalto da cittadini inferociti e ultimi preparativi per l’inaugurazione dell’esposizione universale a rilento a causa della paralisi della viabilità. «Uno scenario da incubo se dovesse ripetersi durante lo svolgimento dell’Expo o in occasione del Giubileo di Roma», stigmatizzano a palazzo Chigi, «verrebbe infatti messo a rischio il successo dei due grandi eventi, con un grave danno per l’immagine del sistema-Paese».
IL COLPO BASSO DEI CUB
La protesta milanese, indetta dai Comitati unitari di base (Cub), è per di più un vero e proprio colpo basso. Il Comune di Milano nei giorni scorsi aveva investito ben 52 milioni per raggiungere un’intesa con i sindacati di categoria in modo da rafforzare durante il periodo dell’Expo i trasporti pubblici locali. L’accordo prevede una tregua di sei mesi da ogni tipo di agitazione e turni di lavoro rinforzati, in cambio di 500 assunzioni e di un solido pacchetto di premi per i dipendenti pari ad alcune centinaia di euro mensili. Ebbene, i Cub hanno deciso di scioperare proprio contro l’accordo, sostenendo che in questo modo ai lavoratori è impossibile prendere le ferie e che i livelli di straordinari costringeranno i dipendenti dell’Atm a «stare alla guida ogni ragionevole limite». E dunque viene manifestata «una totale indifferenza verso il problema della sicurezza».
«A questo punto però», tuona il ministro ai Trasporti Graziano Delrio, «tutti devono assumersi la propria responsabilità verso il Paese. Non possiamo lasciare a piedi i visitatori che verranno a Milano e a Roma e non possiamo lasciare a piedi chi, ogni giorno, prende il bus o la metro per andare a scuola o in ufficio». Ancora: «Non vogliamo comprimere i diritti sacrosanti dei lavoratori. Ma credo che cambiare le regole, per renderle più stringenti, sia una questione di sensibilità sociale, di affetto verso il nostro Paese».
In realtà il governo però è in ritardo. Nel giugno scorso il capo dell’Autorità di garanzia sugli scioperi, Roberto Alesse, aveva chiesto un incontro con l’esecutivo e i sindacati per raggiungere un’accordo che replicasse per i nuovi grandi eventi l’intesa raggiunta per il Giubileo del Duemila a Roma e le olimpiadi invernali di Torino del 2006. Obiettivo immediato: siglare una moratoria per i sei mesi della durata dell’Expo (termina il 31 ottobre) e per l’anno del Giubileo che scatterà l’8 dicembre prossimo, in cui ogni forma di agitazione nel trasporto pubblico locale sarebbe vietata.
Inoltre Alesse aveva proposto una legge che inserisse tutti i grandi eventi, presenti e futuri, nei periodi di “franchigia” in cui lo sciopero è considerato inammissibile: Natale, Pasqua, le elezioni, i giorni dell’esodo estivo da bollino nero. Per il capo dell’Autorità, infatti, «serve una rivisitazione complessiva della disciplina degli scioperi nei servizi pubblici», a 14 anni dalla revisione della legge 146 del 1990 compiuta con la legge 83 del Duemila. La filosofia: trovare un equilibrio tra il diritto costituzionale allo sciopero e i diritti della collettività che talvolta vengono compromessi da proteste organizzate da esigue minoranze di lavoratori.
LE TRE IPOTESI
Le ipotesi allo studio sono essenzialmente tre. La prima, appunto, prevede un referendum preventivo tra i lavoratori sul modello adottato in Germania, Gran Bretagna, Olanda e Danimarca, per evitare che la collettività sia danneggiata da uno sciopero con adesioni minime. L’idea è di consentire lo sciopero soltanto se almeno il 50% dei lavoratori (in Germania è il 75%) vota a scrutinio segreto a favore della protesta.
La seconda ipotesi, che come la prima potrebbe entrare in un decreto o in un disegno di legge, è l’autorizzazione allo sciopero solo ed esclusivamente se le sigle che indicono l’agitazione contano almeno il 50,1% degli iscritti tra i lavoratori dell’azienda di trasporto. La terza idea allo studio, infine, è quella già avanzata da Alesse: l’istituzione dei periodi di sospensione degli scioperi (o moratorie) in occasione dei grandi eventi.
MUSEI COME SERVIZIO PUBBLICO
Ma di tempo ce n’è poco. Così, se nei prossimi giorni il governo non dovesse battere un colpo, sarà l’Autorità di garanzia a prendere l’iniziativa. Alesse ha già fatto sapere di essere determinato a convocare i sindacati, per raggiungere un protocollo d’intesa provvisorio, in modo da consentire il regolare svolgimento dell’Expo prima e del Giubileo poi.
Il problema di una nuova disciplina del diritto di sciopero non è nuovo. E per di più non riguarda esclusivamente i grandi eventi. E’ della settimana scorsa a Roma il venerdì nero innescato da uno sciopero della metro indetto da un sindacato che conta appena il 6% dei dipendenti. E a capodanno, sempre la Capitale, registrò il record di assenze per malattia dei vigili urbani. Per questo Alesse propone un aumento «dell’apparato sanzionatorio» per renderlo «un vero e proprio deterrente. Non sono poi escluse nuove regole per rendere “servizio pubblico” la fruizione del patrimonio artistico. E questo per evitare la chiusura, durante le festività e i picchi estivi, del Colosseo, degli Uffizi o degli scavi di Pompei.