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Data: 29/04/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il blocco dei servizi e i cittadini da difendereI casi Roma e Milano di Oscar Giannino

Il caos di Milano ieri, dalla prima mattina al pomeriggio, l’esasperazione dei cittadini lasciati appiedati senza metro e senza il più delle linee di superficie, ripropone lo stesso problema dello sciopero alla metro romana dello scorso 17 aprile. Diciamolo chiaro: c’è l’evidente necessità di una riforma della disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. Non è ulteriormente procrastinabile.
Come a Roma, anche a Milano l’agitazione è stata proclamata da un sindacato minoritario, i Cub dell’Atm, che ha trasformato un proprio sciopero precedentemente indetto in una protesta contro l’accordo sottoscritto tra l’azienda e Cgil, Cisl e Uil. Un accordo non solo sottoscritto dalle segreterie sindacali, ma approvato dalle rappresentanze unitarie di base nell’azienda. Un accordo che fissa i termini consensuali, tra azienda e sindacati, dello sforzo straordinario di responsabilità a cui sono tutti chiamati a Milano nei mesi dell’Expo che comincerà venerdì primo maggio.
Un accordo inaccettabile per i Cub, che hanno così bloccato la città. E i cittadini, come al solito, hanno pagato il prezzo di non potersi recare al lavoro, a scuola, all’università, allo svolgimento dei propri affari e alla soddisfazione dei propri bisogni. Dopo i fatti di Roma, il ministro Delrio aveva chiesto una moratoria degli scioperi per l’Expo e per il Giubileo a Roma, e in qualche modo aveva anche annunciato l’intenzione dei mettere mano a un confronto con i sindacati.Un confronto proprio per la riforma dello sciopero nei servizi pubblici. Il ministro si era tenuto sul vago per non urtare le confederazioni sindacali, per evitare anche la sola impressione di un intervento unilaterale. Il governo già deve affrontare la protesta unitaria sindacale sulla scuola e molti malesseri per la riforma della Pubblica amministrazione, dunque la linea sullo sciopero è stata sinora più malleabile di quanto sia stata sull’articolo 18.
Comprensibile, forse. Ma, non di meno, sbagliato. Bisogna evitare di confondere partite diverse. Rispetto all’attualmente vigente “disciplina provvisoria” che regolamenta il diritto di agitazioni nel trasporto pubblico locale, assunta come delibera nel 2002 dalla Commissione nazionale di garanzia sugli scioperi, molti passi avanti sono stati concretamente compiuti da allora, in maniera concordata tra imprese e sindacati. Tra il 2012 e il 2014 sono stati sottoscritti accordi interconfederali, dunque direttamente tra parti sociali, sia sui criteri della rappresentanza nelle aziende, sia sul godimento dei diritti sindacali e di sciopero, sia in materia di esigibilità dei contratti e delle intese quando sono sottoscritte dalla maggioranza dei sindacati, fino alla disciplina della conferma diretta dei lavoratori attraverso il voto.
La Fiom non le ha riconosciute, ma Cgil, Cisl e Uil sì. E non è un caso che a Milano, ieri, sia stato il segretario locale della Filt-Cgil a pronunciare parole durissime contro lo sciopero irresponsabile dei Cub, sottolineando che l’accordo aziendale è stato sottoscritto nel pieno rispetto delle regole, e che non si dovrebbero tenere scioperi di protesta quando le regole sono condivise e rispettate.
Non bastano dunque le moratorie durante gli eventi eccezionali, Expo e Giubileo. Anche perché, tra parentesi, i Cub a Milano comunque hanno annunciato uno sciopero anche il prossimo 15 maggio. Una riforma organica dello sciopero nei servizi pubblici, che parta dalle stesse regole intanto raggiunte nel privato tra imprese e sindacati, avrebbe per il governo, e per tutti gli italiani, almeno tre vantaggi.
Primo: mettere la tutela dei diritti dei cittadini-consumatori finalmente in una posizione almeno altrettanto importante rispetto a quella dei sindacati e dei lavoratori. Da decenni, di fatto non è così. È venuto il tempo di correggere la sperequazione tra diritti. Secondo: realizzare la riforma non “contro” ma insieme ai maggiori sindacati, che quegli accordi interconfederali nel settore privato li hanno già firmati. Terzo: restituire un po’ di serenità sia al rapporto tra governo e sindacati, sia, soprattutto, a tutti gli italiani. Che non ne possono più, ogni settimana, di restare a piedi. Con quello che pagano, oltretutto.

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