Iscriviti OnLine
 

Pescara, 24/11/2024
Visitatore n. 740.936



Data: 29/04/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Caos Pd, 40 pronti a uscire. Ma la minoranza va in pezzi. I big: via dall’aula al momento del voto di fiducia. La mossa spiazza le correnti. Martina e Pizzetti: «Sono impazziti» Riunioni notturne per la resa dei conti.

ROMA A metà pomeriggio Roberto Speranza non dà più speranza ad Area riformista. A sorpresa, senza informare nessuno dei suoi, l’ex capogruppo ancora neanche sostituito annuncia secco: «Non voterò la fiducia. E’ una violenza al Parlamento, l’ho votata sempre in passato, questa volta no». Ma non è finita. Come a rispondere a una regia preordinata, in successione Pierluigi Bersani, Rosy Bindi ed Enrico Letta annunciano più o meno con le stesse parole la medesima cosa: «Non voteremo la fiducia, qui è in gioco la democrazia». L’ex segretario, l’ex premier, l’ex presidente del partito, l’ex capogruppo, la ex Ditta in sostanza, fa il gran rifiuto, non come Celestino V, ma come atto di battaglia.
LE RIPERCUSSIONI
Le ripercussioni immediate sono due: la prima, che oggi in una quarantina (sono stime di esponenti della stessa minoranza) usciranno platealmente dall’aula al momento di votare la fiducia. La seconda: davanti a una decisione del genere, le minoranze sono tornate ovviamente a dividersi, di più, a spappolarsi, visto che per una quarantina che uscirà, un’altra quarantina se non di più invece la fiducia la voterà. Un gesto clamoroso, in altri tempi sarebbe stato interpretato come l’inizio di una scissione vera e propria, ma non se ne vedono le premesse, né le truppe, né le intenzioni, una secessione piuttosto, di un certo peso, di un certo richiamo, ma finisce qui. Un gesto che già fa dire a più d’uno della stessa Area riformista come Dario Ginefra che «Speranza a questo punto è il capo della minoranza della minoranza», seguito da un minaccioso «alla riunione della componente andremo a un chiarimento definitivo». Che in effetti è d’obbligo, visto che big della corrente come il ministro Martina e il sottosegretario Pizzetti non voglieno neanche sentir parlare di non votare la fiducia.
Lanciato il sasso, è seguito il classico rituale delle minoranze: le riunioni per decidere il da farsi. Tutti hanno ben chiaro che se un ex segretario, premier, presidente e capogruppo non riescono a portarsi dietro almeno un po’ di truppa, il gesto clamoroso rischia di trasformarsi in un flop clamoroso (già è difficile andare a spiegare in giro l’accorato «onore a Bersani e Speranza, onore alla minoranza Pd», fatto da Brunetta in aula). Alle 21 si è così riunita Area riformista, forse per l’ultima volta come componente unitaria. A parte si sono riuniti i dalemian cuperliani, mentre più d’uno delle minoranze indicava proprio in Massimo D’Alema il nume ispiratore della secessione: raccontano che l’ex leader Maximo in un primo tempo puntava sul sì alla fiducia ma sul no nel voto finale a scrutinio segreto, il cosiddetto trappolone che avrebbe dovuto portare alla sicura caduta del Gabinetto Renzi; poi però, vista la compattezza registratasi sulle pregiudiziali di costituzionalità, D’Alema deve avere meditato ancora una volta sulla pochezza di questi giovani seguaci che non sanno affrontare le battaglie («se si scende in guerra, si deve colpire fino a fare male», aveva esortato all’ultima riunione delle minoranze, quando lo stesso Cuperlo andò poi alla tribuna a contraddirlo).
ANTICIPARE
E si è deciso di anticipare le mosse, di mettere agli atti che sulla fiducia alla legge elettorale c’è una parte che conta del Pd che non ci sta. Spiegava Alfredo D’Attorre che questa volta non farà la comparsa insieme ai soliti Civati e Fassina: «In giro per il partito c’è tanta della nostra gente che ci dice di battere un colpo, di farsi sentire, altrimenti se ne va». Una chiave che può spiegare il gesto di Speranza che ormai è, o si crede, lanciato nel ruolo di competitor di Renzi al congresso che verrà.
Ora si va alla resa dei conti interna alle minoranze. Non appena Speranza e gli altri hanno annunciato il no alla fiducia, è stata la corsa ad annunciare l’opposto. «La fiducia è un errore, ma questo è il nostro governo, non si può non votarlo», dicevano in successione Damiano, Zoggia, Ginefra, Giorgis, mentre esponenti come Epifani, Amendola, Campana, Manciulli soffrivano in silenzio per una scelta secessionista che non è nelle loro corde. I giovani turchi con Verducci cercavano di prenderla alla leggera, «abbiamo aperto le iscrizioni alla corrente», memori dell’approdo già di altri che da altri lidi si sono fatti turchi.

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it