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Data: 29/04/2015
Testata giornalistica: Il Centro
Renzi: «Mi mandino a casa, ma io provo a cambiare l’Italia». Il premier lancia la sfida alle opposizioni interne ed esterne Lotti spedito a ricucire strappi, ma la frattura è profonda

ROMA «Ci prendiamo la nostra responsabilità, la Camera ha tutto il diritto di mandarmi a casa, se vuole, la fiducia serve a questo ma finchè sto qui provo a cambiare l’Italia». Mentre a Montecitorio l’Italicum supera senza difficoltà gli intoppi dei vizi di costituzionalità, Matteo Renzi lancia in due tweet la sfida al Parlamento, decidendo di mettere la fiducia sulla legge elettorale. E’ all’ora di pranzo che il premier cala l’asso della fiducia, spiazzando la minoranza del Pd che non se l’aspettava. Anche se proprio ieri mattina la Velina rossa, il foglio diretto da Pasquale Laurito in realtà aveva annunciato che l’intenzione del governo fosse proprio quella. Il fatto che la minoranza democratica avesse votato compatta per respingere le eccezioni di costituzionalità non è bastato a Renzi che non ha voluto correre rischi. Una sola modifica di una virgola e l’Italicum dovrebbe tornare al Senato dove i numeri del governo sono assai risicati. Un big di Forza italia ammette che nel voto segreto ieri al governo sono arrivati una ventina in più dai parlamentari azzurri, considerando che 8 deputati dem della minoranza si sono sfilati. Ma il premier non si fida. Aveva promesso di fare presto, di chiudere la partita entro le elezioni regionali e ha intenzione di mantenere la tabella di marcia. La conta dei «feriti» nel Pd si farà dopo, a Italicum approvato. All’ora di pranzo il premier riunisce il consiglio dei ministri. Pochi minuti per dare il via libera a Maria Elena Boschi che torna a Montecitorio e annuncia tra gli insulti dell’opposizioni che il governo metterà la fiducia. I renziani contano che ora sarebbero una sessantina i parlamentari della minoranza pronti a seguire Bersani e Speranza che come Letta e Bindi annunciano che non voteranno la fiducia. E sono in pressing su ciascuno di loro per convincerlo a cambiare idea. «Se non passa l’Italicum andiamo a votare», ripetono. Alla fine della fiera, calcolano, saranno solo una trentina i «duri e puri» pronti a non votare la fiducia al governo. «In fin dei conti è sempre il governo guidato dal segretario del partito...», fanno notare. A sondare gli umori e i maldipancia nel Pd palazzo Chigi ha spedito Luca Lotti. Toccherà al sottosegretario alla presidenza il compito di valutare fino a che punto lo strappo della fiducia sarà ricucibile. Del resto questa volta la scelta di Renzi ha spiazzato anche i suoi più stretti collaboratori. Il Pd ha votato compatto, dicevano. Renzi però è convinto che quel voto nasconda trappole. Si preparano a dare battaglia sugli ememdamenti, dice in cdm. «Anche a Prodi Parisi aveva garantito che c’erano i numeri per andare avanti...», avrebbe chiosato il premier. E del resto il premier non avrebbe affatto gradito il nuovo protagonismo di Enrico Letta e Romano Prodi. Nomi che potrebbero compattare un’area di opposizione interna finora lacerata in mille rivoli. L’ala dialogante è messa a dura prova dal sospetto crescente che la fretta del segretario premier di incassare la legge elettorale sia anche in previsione di elezioni anticipate. La linea la ribadisce il premier al Tg1. «Non c’è cosa più democratica che mettere la fiducia, se la legge passa il governo va avanti, se no va a casa, abbiamo discusso a lungo con la nostra minoranza, cambiato la legge venendo incontro alle loro richieste, adesso è il momento di non girare intorno», dice. Quanto al no di Bersani, Renzi replica duro: «La prima regola ella democrazia è rispettare la volontà della maggioranza, altrimenti è anarchia».

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