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Pescara, 24/11/2024
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Data: 30/04/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Intervista a Graziano Delrio - «Sugli scioperi nuove regole servirà il 51% dei lavoratori» Il ministro delle Infrastrutture: «Bloccare le città per l’agitazione di un solo sindacato non sarà più possibile. In certi casi si potrebbe arrivare a chiedere il 75% dei consensi».

ROMA «Quanto accaduto martedì a Milano, con la città paralizzata per più di mezza giornata a causa dello sciopero improvviso dichiarato da una sola sigla sindacale, non è più tollerabile. È grave che una minoranza, peraltro poco numerosa, condizioni la vita di una città quando la stragrande maggioranza dei lavoratori ha opinioni diverse. Noi rispettiamo tutti, ma non possiamo accettare che a pagare siano sempre i più deboli». Graziano Delrio, da nemmeno un mese ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha le idee chiare sul che fare in materia di regolamentazione degli scioperi nel settore dei trasporti pubblici. Soprattutto adesso che mancano poche ore all’apertura di Expo 2015.
Ministro, sul fronte degli scioperi siamo dunque alla svolta?
«Con davanti due eventi come Expo e il Giubileo, che impegneranno il paese per un anno e mezzo, dobbiamo fare un salto di qualità. Non possiamo lasciare a piedi i milioni di visitatori che verranno nelle nostre città né possiamo lasciare a terra chi ogni mattina prende il bus o la metro per recarsi al lavoro. Che senso ha invitare il mondo a visitare Pompei se poi gli facciamo trovare i cancelli chiusi? Dobbiamo darci nuove regole, altrimenti per colpa di pochi rischiamo di giocarci delle straordinarie opportunità di rilancio del Paese».
A proposito di nuove regole, le opzioni sembrano essere più d’una. Verso quale ipotesi vi state orientando?
«L’argomento è oggetto di discussione con le Authority competenti. Questa mattina ho incontrato Andrea Camanzi, presidente dell’Autorità di regolazione dei trasporti. Entro breve incontrerò Roberto Alesse, presidente dell’Autorità di garanzia sugli scioperi. Subito dopo assumeremo le decisioni del caso».
Ripeto la domanda: verso quale ipotesi vi state orientando?
«Si va dalla revisione della legge sugli scioperi a norme più leggere. Non si vuole comprimere un diritto sacrosanto dei lavoratori ma credo sia un dovere sociale e di affetto verso il Paese entrare nel merito. Decisioni così gravi, come lo sciopero dei trasporti in una città, debbono riscuotere il consenso della maggioranza dei lavoratori. Un po’ come da tempo capita in Germania».
Il referendum introdotto dai tedeschi richiede almeno il 75% dei consensi in fabbrica. E’ a questo che state pensando?
«E’ accettabile anche il 51%. Maggioranze molto qualificate verrebbero chieste solo in certe occasioni particolari. Alla fine il tutto si riduce a una semplice questione di buon senso».
Domani apre i battenti Expo e Milano non teme solo qualche sciopero selvaggio nei trasporti, ma anche l’ondata di no global che si starebbe ammassando nelle periferie. Quali provvedimenti ha preso il governo per impedire disordini?
«Il governo sta facendo il necessario affinché tutto si svolga ordinatamente. Soprattutto nelle prossime ore la vigilanza sarà massima, atti di violenza non sarebbero accettabili».
Da qualche mese giace presso la presidenza del Consiglio il disegno di legge destinato a riformare il trasporto pubblico locale. Quando pensa che verrà licenziato?
«Mancano solo pochi dettagli che vanno armonizzati, entro la fine di giugno il progetto approderà in Parlamento».
Quali sono i cambiamenti più significativi che verranno introdotti?
«L’obiettivo è rendere efficiente il servizio: i tagli hanno valore solo in quanto possono aiutare questo processo. L’introduzione di costi standard o di masse critiche dei bacini di utenza più ampie, attraverso accorpamenti e fusioni, sono variabili che hanno come obiettivo principale l’efficienza del servizio».
C’è poi il tema dell’evasione. Si calcola che i viaggiatori che non pagano il biglietto provochino un danno di circa 450 milioni l’anno alle società che gestiscono il trasporto. Si dice che il ddl preveda l’introduzione di vigilanti privati su ogni mezzo pubblico. Sarà così?
«Sistemi integrati di vigilanza, come accade per la sosta nei parcheggi, sono previsti. Ma non su ogni mezzo. Si tratta di agire con grano salis. Va da sé che nelle aree dove l’evasione è più acuta, la vigilanza sarà più stretta. Ma ci sono altri modi per limitare questo fenomeno pernicioso».
Può fare qualche esempio?
«I biglietti multiservizio, abbonamenti annuali che valgono sia per il treno che per i mezzi di città. Lo sconto sarebbe un incentivo a mettersi in regola. E’ solo un esempio, ma con un po’ di fantasia si possono trovare altre soluzioni. Deve però essere chiaro che chi non paga il biglietto sta sottraendo risorse alla scuola pubblica, alla sanità, in una parola alla comunità. E perciò va sanzionato con grande severità».
Dunque, secondo lei maggiore efficienza vuole dire minore evasione. Non è anche un problema di abitudini stratificate, di scarso rispetto della cosa pubblica?
«Sicuro. E’ un problema di educazione nel senso più ampio dell’espressione, di mancanza di senso civico. Anche su questo dovremo lavorare. Però mi creda: se il trasporto pubblico funziona davvero, i cittadini sono più incentivati a utilizzarlo. E quindi più disposti a pagare il biglietto».
A proposito di trasporti cittadini, la riforma si occuperà anche di Uber e di car sharing? Il tema sembra molto caldo, soprattutto per una città come Roma Capitale.
«Non è previsto che di ciò si parli nella riforma. Però quanto prima una regolamentazione andrà introdotta. Non ha senso fermare la nuova economia, che peraltro si propaga con rapidità stupefacente. Sarebbe come tentare di fermare il vento con le mani. Tanto vale introdurre prima possibile una disciplina che porti più efficienza nel servizio, che però danneggi il meno possibile il trasporto tradizionale».
Insomma, un po’ come è avvenuto con l’arrivo delle compagnie low cost nel trasporto aereo, però al contrario.
«Qualcosa del genere, magari separando i target della clientela, in modo da completare il servizio offerto. Esattamente come la compagnia low cost completa l’offerta nel trasporto aereo. Peraltro, la maggiore disciplina del settore consentirebbe l’emersione di un bel po’ di lavoro nero».
Parliamo di grandi opere. Lei è approdato al ministero della Infrastrutture meno un mese fa. E subito ha ridotto a 25 le opere giudicate di interesse nazionale. Non è però stato spiegato quale fine è destinata agli oltre 400 progetti che non sono entrati nel Def.
«Il fatto che non siano in quell’elenco non vuol dire che non verranno realizzate. Nel Def abbiamo elencalo le opere che collegano l’Italia all’Europa o quelle che hanno valenza sovraregionale. Il Regno Unito per esempio ne ha indicate 40, ma non credo che saranno le uniche infrastrutture che gli inglesi realizzeranno».
Dunque, i sindaci e i governatori che si sono lamentati delle esclusioni non hanno ragione di preoccuparsi?
«No, sempre che le opere proposte servano davvero al Paese. E non è necessario che si tratti di grandi opere: ad esempio, il piccolo collegamento tra Gioa Tauro e la Linea Adriatica non è essenziale per il Paese, ma lo è certamente per la portualità nazionale. È quindi giusto che venga realizzato. Inoltre, io considero grande opera fare manutenzione ordinaria ai viadotti».
Sul project financing lei si è mostrato prudente. Vuol dire che è tra coloro che non credono più a questa formula di intervento misto?
«Sono convinto dell’utilità di realizzare opere d’interesse pubblico con l’aiuto dei privati. Purché il progetto sia tale da non richiedere varianti che raddoppino il contributo dello Stato, che non è il bancomat dei privati».
La Struttura di Missione è stata congelata con le dimissioni del ministro Maurizio Lupi. Resterà a lungo in frigorifero?
«No, entro breve tornerà ad operare. Naturalmente il raggio d’intervento sarà meno elitario, perché dovrà occuparsi anche delle opere di breve gittata. Abbiamo detto basta alle attività svolte in regime d’emergenza».
La scossa che ha provocato il cambio della guardia al ministero è stata profonda. Si parla di alcuni cambiamenti interni anche importanti. A che punto è l’opera di pulizia?
«Non mi piace quell’espressione e comunque innovare non significa esprimere un giudizio sul passato, è solo un modo di cogliere la sfida del presente e del futuro. Comunque sì, abbiamo fatto e stiamo tuttora facendo cambiamenti all’interno del ministero».

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