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Data: 01/05/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Statali, dirigenti a tempo e licenziabili. Riforma della pubblica amministrazione verso il traguardo ma al Senato il governo rischia e si salva in aula per un voto. Corretta la norma sugli incarichi dei manager pubblici: potranno durare quattro anni, proroga massima di altri due

ROMA È a un passo dal traguardo la riforma della pubblica amministrazione, ma per il governo le ultime votazioni sul disegno di legge delega sono state meno tranquille del previsto. Su un emendamento in materia di servizi pubblici locali (concepito dai firmatari per evitare la privatizzazione dell’acqua) l’esecutivo ha rischiato di essere battuto e si è salvato per un solo voto; e poco dopo nel corso della serata, quando già il presidente Grasso contava di portare a termine l’esame del provvedimento, le opposizioni sono riuscite a far verificare la mancanza del numero legale. Quindi è tutto rinviato a questa mattina.
L’EMENDAMENTO Nel merito non ci saranno grandi sorprese. Ieri è comunque emersa una piccola ma importante novità su uno dei temi-chiave, quello della dirigenza. Nell’impianto del disegno di legge si stabiliva il principio dell'incarico a tempo, con l’idea di evitare l’inamovibilità di fatto di alcuni super-burocrati. Il meccanismo messo a punto prevedeva un mandato di tre anni, rinnovabile per altri tre: dopo di che il dirigente avrebbe dovuto sottoporsi ad una prova selettiva per ottenere un nuovo incarico. Un emendamento firmato da Linda Lanzillotta (Pd) e poi approvato fissa invece a quattro anni la durata massima dell'incarico, incarico che poi potrà essere prorogato per altri due. Resta il vincolo di sei anni complessivo primo di un nuovo “esame” per il dirigente. Confermata la norma che sancisce la licenziabilità del dirigente (in assenza di incarico viene messo in disponibilità per un certo periodo e poi decade dal ruolo unico) è stato invece fatto un passo indietro, almeno sul piano formale, in materia di automatismi di carriera. È infatti saltata la precisazione esplicita, introdotta alla Camera, secondo cui gli automatismi andavano superati, ed è stato ripristinato il testo originale: per problemi di «incoerenza normativa», in base a quanto segnalato dalla commissione Bilancio. Il Senato ha poi ampliato alle società controllate dalle Camere di commercio la platea dei dipendenti sottoposti al tetto di retribuzione.
È stata approvata anche la norma destinata, almeno sulla carta, ad agevolare la staffetta generazionale nella pubblica amministrazione. Il dipendente vicino alla pensione potrà lavorare con orario ridotto ma per garantirsi lo stesso trattamento previdenziale dovrà versare di tasca propria i necessari contributi. Questo paletto è stato introdotto su richiesta della Ragioneria generale dello Stato, per evitare aggravi di spesa: è prevedibile però che in una forma così depotenziata l’opzione appaia poco conveniente. Sarà probabilmente usata solo nelle amministrazioni che avendo disponibilità finanziarie proprie possono integrare i contributi (non a caso l’emendamento è firmato dal senatore altoatesino Hans Berger). Un altro emendamento punta a definire una sorta di corsia preferenziale per l’assunzione dei vincitori di concorso. Il meccanismo esatto è però ancora da definire. Un possibile strumento potrebbe essere il rafforzamento della “mobilità” tra le graduatorie.
Infine resta da definire il destino della polizia provinciale, nell'ambito della razionalizzazione delle forze dell'ordine. La soluzione legislativa ancora non c'è, ma un ordine del giorno approvato con il parere favorevole del governo chiede che questo personale confluisca nel Corpo forestale (a sua volta assorbito dalla Polizia di Stato) per continuare a occuparsi di temi ambientali.
Ieri sera intanto il Consiglio dei ministri, dopo le dimissioni di Alessandra Poggiani, ha nominato il nuovo direttlore dell’Agenzia per l’Italia digitale (Agid). Si tratta di Antonio Samaritani, direttore dei sistemi informativi della Regione Lombardia.


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