Lo sciopero di 7 giorni dei macchinisti delle ferrovie tedesche (leggi l'articolo) è un evento che non può essere confinato solo tra le notizie di cronaca. La risposta della Germania mostra la solita determinazione che caratterizza quella nazione: prima ancora che dibattere sul diritto di sciopero (anche se non manca qualche voce in questo senso), c’è una mobilitazione delle strutture pubbliche (con un’efficienza sconosciuta da altre parti) per trovare soluzioni per non fermare la macchina produttiva e la necessità di spostarsi dei cittadini. E nasce così l’invito esplicito a rivolgersi a sistemi alternativi come il car sharing (sul sito stesso della Deutsche Bahn, cioè, in teoria, di un diretto concorrente), l’investimento per potenziare quei servizi, il coinvolgimento dell’opinione pubblica per superare un evidente stato di difficoltà, ma con l’effetto di spingerla di fatto verso altri lidi, nel momento in cui dà spazio a nuovi protagonisti di una mobilità alternativa.
[dc] Evitiamo paragoni con altri paesi (prendiamone uno a caso, l’Italia) e andiamo al nocciolo della questione. Con l’esempio tedesco, si fa avanti il concetto che anche una categoria come i macchinisti delle ferrovie, dall’immenso potere di blocco (in una situazione sostanzialmente monopolistica), può essere contrastata e ridimensionata nel suo ruolo; e, dall’altro lato, che si apra la strada a processi che finiscono per ritorcersi contro chi vi ha dato avvio (avvenne anche per i ciompi, a Firenze).
Non a caso Marco Spinedi, di SiPoTra, recentemente ha invitato a prestare attenzione ai nuovi fenomeni che avvengono nel mondo dei trasporti. Non c’è solo Uber, contro cui ora si cerca di correre a impossibili ripari; figlia sempre della rivoluzione del web, un’invenzione come Bla Bla Car rischia infatti di sparigliare le carte anche in un settore finora ritenuto inattaccabile, come il trasporto ferroviario sulle medie distanze, soprattutto dopo il progresso salvifico costituito dall’alta velocità. Le manovre protettive sono inutili, anche perché c’è sempre un’eterogenesi dei fini: in Francia, la riforma delle ferrovie francesi (fatta sostanzialmente per difendere il ruolo di SNCF dagli assalti della UE) ha aperto contemporaneamente la strada alla liberalizzazione dei bus nelle soste intermedie, in un singolare contrappasso. Ma anche le vittorie della concorrenza possono essere labili: l’alta velocità ha impiegato pochissimi anni (potremmo dire addirittura pochissimi mesi) per sbaragliare la concorrenza del trasporto aereo (sul Roma-Milano, anche l’efficientissima EasyJet, alla fine, si è dovuta arrendere). La ruota gira, ma il dato impressionante è che le trasformazioni sono diventate velocissime.
Insomma, chi ritiene di poter continuare a vivere protetto all’ombra dei propri fortini, farebbe bene a guardarsi attorno: il sistema dei trasporti può da un momento all’altro essere sconvolto da forme alternative di mobilità fino a ieri imprevedibili o impensabili. Fenomeni cui sarebbe opportuno prestare attenzione, perchè dalla loro parte hanno la spinta di un vento che finora si è dimostrato inarrestabile, vale a dire la concorrenza del prezzo più basso e dell’offerta più conveniente. A favore dei nuovi “pirati” (che, non dimentichiamolo, furono capaci di affossare l’immenso impero spagnolo), gioca la sostanziale incapacità del settore dei trasporti di gestire una politica di riforme fuori dalle logiche degli interessi coalizzati, la costante sottovalutazione della centralità del problema della mobilità nella società contemporanea (testimoniata anche – come rileva lo stesso Spinedi in sua acuta analisi – dall’assenza del tema negli statuti, cioè negli atti fondativi, delle nuovissime città metropolitane), la difficoltà (o l’impossibilità) di uscire da situazioni cristallizzate.
Inutile chiedere se ci sono e quali possano essere le soluzioni: non c’è che da vedere come andrà a finire, possibilmente senza foderarsi gli occhi di prosciutto.