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Data: 07/05/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pensioni, rimborsi ma non a tutti. Si apre il caso governo-Consulta. Il sottosegretario Zanetti: «Impensabile non fare distinzioni» La Corte: il verdetto non fa esclusioni, non servono i ricorsi. A Palazzo Chigi monta l’irritazione: «Una sentenza che allarma i mercati».

ROMA Il concetto era abbastanza chiaro fin dalle prime ore successive alla pesante sentenza della Conte costituzionale e in fondo risultava sottinteso nelle dichiarazioni di vari membri del governo, incluso lo stesso ministro dell’Economia Padoan. Ma ieri ci ha pensato Enrico Zanetti, che al Mef è sottosegretario, a esporlo nella maniera più diretta ed esplicita possibile: «Escludo che sia possibile restituire a tutti l'indicizzazione delle pensioni - ha detto - per quelle più alte sarebbe immorale». Tanto è bastato per scatenare una valanga di reazioni: oltre a quelle delle varie associazioni dei pensionati, sul fronte politico spicca la dichiarazione del segretario della Lega Salvini che minaccia di occupare il palazzo del ministero. Toni ugualmente accesi si trovano nelle repliche del Movimento Cinque Stelle, mentre nel campo governativo il senatore Sacconi (Alleanza popolare) invita l’esecutivo ad evitare «soluzioni da dottor Stranamore». Dopo le parole di Zanetti, fonti governative hanno fatto sapere che al momento non è stata presa ancora alcuna decisione, e che comunque l’ipotesi di non restituire la rivalutazione a suo tempo negata a tutti i soggetti coinvolti è compatibile con il rispetto della sentenza della Corte: nel senso che i giudici costituzionali non escludono la possibilità per il governo di limitare l’adeguamento all’inflazione, ma chiedono di farlo secondo determinati criteri (gradualità, tutela dei redditi bassi e così via) nel rispetto degli articoli 36 e 38 della Costituzione.
Proprio ieri, informalmente fonti della Consulta hanno fatto sapere che la decisione ha validità erga omnes ed è autoapplicativa, nel senso che cancella automaticamente dall’ordinamento la norma dichiarata incostituzionale. Quindi sulla carta i pensionati non dovrebbero fare nulla, se non eventualmente rivolgersi all’Inps per la liquidazione delle somme in questione. In pratica però la via dei ricorsi sarebbe quasi obbligata qualora lo Stato non provvedesse. Questa presa di posizione, per quanto informale, potrebbe essere vista come una risposta dei giudici all’esecutivo, anche se si per sé la sentenza non impedisce al governo di legiferare.
LE SOLUZIONI Ieri lo stesso Pier Carlo Padoan è tornato sul tema ripetendo quasi ala lettera quanto già affermato martedì: «Pensiamo a misure che minimizzino l'impatto sui conti pubblici, nel pieno rispetto della Corte». E di nuovo informalmente, Palazzo Chigi ha sigillato la vicenda facendo sapere che fanno testo le parole del ministro dell’Economia: questa è dunque la posizione ufficiale del governo. Concretamente, l’obiettivo dell’esecutivo è sostituire la norma censurata (il comma 25 dell’articolo 24 del decreto salva-Italia, che escludeva qualsiasi rivalutazione al di sopra di tre volte il trattamento minimo Inps) con un diverso schema, meno drastico. Per gli anni 2012 e 2013 prima che intervenisse il governo Monti, era già in vigore un meccanismo di riconoscimento solo parziale dell’inflazione, deciso dal precedente esecutivo Berlusconi nell’estate 2011 (è quello a cui in assenza di altre misure si tornerebbe con la sentenza della Consulta): rivalutazione quasi piena per i trattamenti fino a cinque volte il minimo, rivalutazione parziale per i trattamenti al di sopra di questa soglia.
Non è questa la sola grana per i conti pubblici: l’Unione europea potrebbe bocciare il reverse charge, la norma anti-evasione inserita nell’ultima legge di Stabilità. I relativi 700 milioni di gettito sarebbero sostituiti da un aumento delle accise sui carburanti, ma Padoan ieri ha garantito che questo non accadrà: il cosiddetto “tesoretto” appare sempre più inesistente.


A Palazzo Chigi monta l’irritazione: «Una sentenza che allarma i mercati».

ROMA A Palazzo Chigi ha destato sorpresa la precisazione serale della Consulta. Secondo qualche consigliere di Matteo Renzi, c’è uno strano accanimento e una serie di coincidenze sospette. «Stava andando tutto bene, poi è arrivata la sentenza. Con il risultato di gettare ombre sulla tenuta dei conti e di allarmare i mercati». In più, il giudizio sulla sentenza non è lusinghiero, secondo alcuni sarebbe stata scritta male e sarebbe in buona sostanza assurda. In ogni caso il tema non sarà affrontato oggi dal Consiglio dei ministri. Per intervenire il governo ha tempo fino a mercoledì prossimo, quando la Commissione europea provvederà a scrivere le «raccomandazioni» per ogni Paese. La linea non è dissimile da quella annunciata dal sottosegretario Zanetti: «Mica possiamo restituire gli arretrati a tutti, anche a chi ha una pensione da 100mila euro. L'intervento sarà graduale».
Nel giorno in cui esplode il bubbone delle pensioni da rivalutare, a palazzo Chgi è stato affrontato anche il tema del «tesoretto». Di quel miliardo e seicento milioni, frutto di una stima più ottimistica della crescita nel 2015 (più 0,1%), che Matteo Renzi avrebbe voluto distribuire nei prossimi giorni. A palazzo Chigi il disappunto è palpabile. «Nessuno ha mai pensato di fare del tesoretto una manovra elettorale», spiegano, «ma quei soldi sarebbero stati una bella iniezione di ottimismo e un’operazione di giustizia sociale. Ora però tutto diventa difficile». In più, sarà doloroso decidere di sbloccare solo le pensioni basse e non quelle alte: «Quando tocchi le tasche della gente perdi voti... E poi il leghista Salvini già minaccia di occupare il Tesoro», osserva allarmato un deputato renziano.
Eppure ancora lunedì, a sentenza della Consulta ormai metabolizzata, Renzi non aveva archiviato la tentazione del tesoretto. Tant’è, che a palazzo Chigi la task force economica guidata da Yoram Gutgeld e da Tommaso Nannicini, proprio in queste ore ha portato a termine il lavoro istruttorio. E ha avanzato una proposta che si muove su due direttrici: il «bisogno» e il «merito». Per “bisogno” si intende la lotta alla povertà con l’estensione fino al dicembre del 2016 del Sostegno per l’Inclusione Attiva (Sia), ora in fase di sperimentazione in alcune città, a circa 250 mila famiglie in condizioni di povertà e con figli minori a carico. In totale quasi un milione di persone. L’altra misura proposta dalla task force riguarda il merito nelle università. Ed è il reclutamento internazionale sul modello del European Research Council. Vale a dire, la selezione e il reclutamento di circa 300-400 giovani docenti cui assegnare una cattedra con una dotazione finanziaria. Costo totale: 500 milioni circa. «Ma adesso», allargano le braccia a palazzo Chigi, «tutto il piano rischia di saltare».

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