ROMA Ci sono problemi tecnici. E ci sono nodi politici. Ma ci sono anche posizioni diverse ormai sintetizzabili nella consueta categoria dei falchi e delle colombe. L’onda d’urto della sentenza-bomba della Corte Costituzionale non è ancora stata assorbita completamente dal governo. «Questo è il verdetto che in assoluto muove più soldi di tutta la storia della Repubblica», dice uno degli uomini più vicini al premier che a registratori spenti si autodefinisce «un falco», sulle posizioni di coloro che darebbero un rimborso minimo anche ai pensionati del primo scaglione, quelli tra i 1.500 e i 2.000 euro lordi al mese, costringendoli ad accontentarsi di un rimborso al massimo del 50%. A dimostrazione che le posizioni del sottosegretario all’economia Enrico Zanetti che aveva definito «immorale» restituire tutto a tutti non sono poi così isolate dalle parti di Palazzo Chigi. Ma ci sono le elezioni alle porte. I pensionati votano e danno per scontato che riavranno indietro soldi. Un argomento che permette alla fazione delle «colombe» di catturare l’attenzione del premier. Su queste posizioni sarebbero soprattutto settori del Tesoro. Il ministro Pier Carlo Padoan continua a ripetere come un mantra che si troverà una soluzione rispettosa della sentenza della Corte e in grado di minimizzare l’impatto per i conti. Una posizione che ieri ha ricevuto il plauso del presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, che era a Roma per incontrare proprio il ministro. Per le colombe nello scaglione tra i 1.500 e i 2.000 euro bisognerebbe restituire tutto. O quasi. Perché, certo, non si può essere più generosi del governo Letta, che quando aveva reintrodotto la rivalutazione per le pensioni aveva fissato la prima asticella al 95%. Salendo, dalle quattro alle cinque volte la pensione minima, più o meno fino a 2.500 euro, il 75% di rivalutazione di Letta potrebbe diventare 50%. Tra i 2.500 e i 3.000 scendere dal 50% al 30%, per poi azzerarsi come già è oggi. È una possibilità.
LE ALTRE IPOTESI
Ma si ragiona anche su altro. La Ragioneria avrebbe avuto mandato anche di simulare il costo di una rivalutazione piena sui primi 1.500 euro di pensione per tutta la curva. Significa che anche chi prende 5.000 euro al mese sui primi 1.500 otterrebbe l’adeguamento. Seconco alcuni sarebbe un modo per rispettare alla lettera la «progressività» chiesta dalla Corte e potrebbe costare non più di 2 miliardi di euro. Si potrebbe fare subito, senza aspettare giugno e che siano passate le elezioni regionali per adottare il decreto. Poi in un secondo momento si potrebbero rivedere anche gli scaglioni Letta, e questa volta decisamente al ribasso. Anche il primo potrebbe scendere dal 95% di rivalutazione al 50%, considerando che i primi 1.500 euro verrebbero comunque adeguati al 100%. La decisione finale, come sempre accade. spetterà a Matteo Renzi. Un punto fermo c’è. L’Italia per non sforare il tetto del 3% di deficit ha uno spazio massimo di 8 miliardi. Ma non potranno essere usati tutti per le pensioni. Qualcosa va lasciata per coprire eventuali buchi in corso d’anno, spese impreviste ed eventuali risultati sotto le attese della spending review da 10 miliardi necessaria a disinnescare la mina dell’aumento Iva. Proprio sui tagli alla spesa ieri è intervenuta la Ragioneria generale che ha chiesto a tutte le amministazioni «un’attenta gestione delle finanze pubbliche», chiedendo a tutti i ministeri che presenteranno nuovi oneri di coprirli tagliando spese della stessa amministrazione».