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Pescara, 24/11/2024
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Data: 09/05/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
I conti: 80 euro al mese a 2 milioni di pensionati. Ecco quanto aumenterebbero gli assegni fino a 4 volte il minimo se rivalutati al 95%. Per le prestazioni tra i 2.500 e i 3 mila euro la restituzione si fermerebbe invece a 40 euro.

ROMA Un bonus extra da 80 euro al mese. Ecco la gradita sorpresa che 2,2 milioni di pensionati si preparano ad incassare per effetto della sentenza della Consulta che ha bocciato lo stop alle rivalutazioni degli assegni previdenziali per il biennio 2012-2013 disposte dal governo Monti. Il calcolo è presto fatto: se davvero l’attuale esecutivo deciderà, come appare possibile, di rimborsare la platea che naviga tra 1.443 euro (tre volte il minimo del trattamento relativo all’anno 2011) e 2 mila euro restituendo il 95% di quanto perduto a suo tempo, un pensionato a 1.500 euro lordi si vedrà restituiti 81,2 euro al mese. Vale a dire appena 4,3 euro in meno di quanto avrebbe incassato (anche se al momento si tratta solo di ipotesi) se il rimborso fosse stato riconosciuto in maniera piena e totale. In pratica, moltiplicando quella cifra per 24 mensilità, il pensionato in questione si metterebbe in tasca 1.949. A quota 2 mila euro, ovviamente, il beneficio potrebbe essere ben maggiore. A quel livello di pensione (4 volte il minimo) il sacrificio necessario a contribuire alla salute dei conti pubblici fu di 103 euro al mese. Applicando la regola del rimborso al 95%, il ministero del Tesoro dovrebbe garantire un rimborso mensile di 97,8 euro. Una cifra che proiettata sul biennio vorrebbe dire un tesoretto di 2.348 euro.
GLI ALTRI CASI
Molto più incerta la situazione quando il tetto dei trattamenti pensionistici sale oltre i 2 mila euro lordi al mese. Un pensionato con un trattamento pari a 5 volte il minimo, 2.500 euro lordi, ha lasciato sul terreno 132 euro al mese nel biennio 2012-2013. Per lui (e per circa 1,2 milioni di pensionati che figurano nella fascia 2.001-2.500 euro) il recupero sarebbe più debole e incerto. Nel caso in cui Palazzo Chigi riconoscesse un rimborso del 75% (l’ipotesi più favorevole) potrebbe rientrare di 99 euro al mese. Il che vorrebbe dire recuperare, in totale, 2.376 euro. Ma se la scelta governativa fosse la meno generosa possibile (ad esempio un rimborso del 50%), il recupero sarebbe limitato a 66 euro mensili.
LA SOGLIA PIÙ ALTA
Ancora più esiguo il bottino che si preparano a raccogliere i pensionati che ogni mese si vedono accreditare un bonifico compreso tra 2.500 e 3 mila euro. Così, ad esempio, un pensionato titolare di un assegno da 2 mila 900 euro al mese al quale venisse garantito un rimborso del 30% recupererebbe appena 42,3 euro mensili rispetto ai 141 che gli erano stati sottratti dal tandem Monti-Fornero. In pratica, nonostante il parziale risarcimento, il contributo alla causa pubblica resterebbe di quasi 100 euro al mese. Un bonus al contrario, in questo caso. Occorre tra l’altro ricordare che le pensioni più alte, in termini assoluti, sono già ampiamente neutralizzate quando si tratta aggiornare gli assegni per agganciarli all’aumento del costo della vita. Un meccanismo di decalage prevede infatti una rivalutazione che va dal 100% dell’inflazione programmata per le pensioni che non superano tre volte il minimo (attualmente circa 1.500 euro), al 45 per cento per quelle sopra sei volte il minimo (circa 3 mila euro).
Il che non vuol dire, ovviamente, che i pensionati che godono di trattamenti più alti non pagheranno un prezzo rispetto alla scelta di escluderli dal rimborso. Ad esempio, a quota 4 mila euro al mese, nel biennio di stop censurato dalla Consulta, le pensioni hanno subito un taglio di 190 euro mensili. Una cifra che sul biennio preso in esame significa una decurtazione di 4.560 euro. Soldi ormai perduti, almeno a seguire la linea di ragionamento del governo, determinato nel voler limitare i rimborsi alle fasce di reddito da pensione più basse allo scopo di superare i rilievi della Suprema Corte.

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