ROMA Le pensioni bloccate dal governo Monti saranno rimborsate e ripristinate in base alle fasce di reddito, sia in termini di arretrati, sia di trattamenti futuri, per l’adeguamento totale al meccanismo dell’inflazione. È questa la novità anticipata ieri in una intervista dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Entro la settimana il Consiglio dei ministri dovrebbe già varare il decreto. Per Padoan non ci sarebbero altre strade, perché rimborsare tutti allo stesso modo porterebbe a una procedura d'infrazione Ue sia per il deficit che per il debito. La rivalutazione delle pensioni non sarà dunque totale, ma verrà fatta in modo parziale e selettivo, perché «le pensioni più basse devono essere protette più di quelle alte», ha spiegato il ministro. In attesa del decreto e di capire come saranno rivalutate, vediamo come funziona il meccanismo e che cosa devono sapere e fare i 5 milioni e mezzo di pensionati coinvolti, quelli cioè che hanno una pensione lorda da 1.500 euro in su, cioè tre volte il trattamento minimo.
NON SERVE FARE RICORSO. Per il recupero sugli assegni pensionistici tagliati non serve fare ricorso. La sentenza della Corte Costituzionale è subito efficace. Bisognerà aspettare però il decreto del governo per capire l’entità del rimborso e se ci sarà un tetto massimo.
IL CALCOLO DEGLI ARRETRATI. L’Inps dovrà ripristinare l’adeguatezza delle prestazioni pensionistiche. L’adeguamento dell’assegno all’incremento del costo della vita riguarda non solo il 2012 e il 2013 ma anche gli anni successivi, a causa dell’effetto “a cascata” prodotto dallo stop biennale.
RIMBORSO CON BOT? Questa ipotesi si era affacciata nei giorni scorsi, ma è stata decisamente smentita dal governo.
UNA TANTUM O RATE. Gli arretrati potrebbero essere restituiti in una unica soluzione o a rate. A favore dell’ipotesi dell’una tantum, se accolta dalla Ue, ci sarebbe il fatto che non avrebbe ricadute sul deficit strutturale grazie all’utilizzo della clausola delle circostanze eccezionali.
UN TETTO AL RIMBORSO. Anche di questo si sta discutendo. Nella maggioranza c’è condivisione e il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti ha ipotizzato la fascia di 5mila euro lordi. Ma le opposizioni, a partire dalla Lega di Salvini, minacciano di fare ostruzionismo.
ADEGUAMENTO PER FASCE. E veniamo all’aspetto più d’attualità. Quale potrebbe essere il meccanismo per fasce di reddito annunciato da Padoan? Potrebbe essere di tipo orizzontale o verticale. Riguardo alla perequazione di tipo orizzontale c’è un precedente applicato l’ultima volta con i ratei pensionistici ricalcolati al 1° gennaio 2011. Quel meccanismo prevedeva un adeguamento all’inflazione nella misura del 100% per le fasce di importo fino a tre volte il trattamento minimo (1.500 euro), 90% per le fasce di importo tra tre e cinque volte il trattamento minimo e del 75% per le fasce di importo superiori. A titolo di esempio: il titolare di una pensione pari a sei volte il trattamento minimo si vedeva riconoscere un adeguamento pieno per l’importo fino a tre volte il trattamento minimo e via via a diminuire per le fasce di importo superiori. La perequazione quindi avveniva con un sistema a scaglioni, così come viene praticato con l’Irpef. Si tratta di un meccanismo più generoso rispetto a quello verticale introdotto dalla riforma Monti-Fornero. Nel 2014 e 2015, le leggi di stabilità hanno previsto un riconoscimento cosiddetto “verticale” cioè in funzione dell’importo pensionistico. La perequazione pertanto è stata praticata sull’intero valore nella misura prevista per il trattamento pensionistico complessivo. Cioè , a fronte di un’assegno superiore a sei volte il trattamento minimo, nel 2015 l’adeguamento all’inflazione è stato pari al 45%, per tutto il valore della pensione. Se l’assegno fosse stato compreso tra 4 e 5 volte il minimo, l’adeguamento sarebbe stato del 75%, sempre su tutto il valore.
LA TASSAZIONE. Come saranno tassati gli arretrati derivanti dalla sentenza della Corte costituzionale? In base al Testo unico delle imposte sui redditi, gli arretrati riferibili ad anni precedenti e percepiti per effetto di sentenze sono soggetti a tassazione separata. In questo caso il vantaggio fiscale va soprattutto ai pensionati che percepiscono importi più elevati, poiché pagheranno l’aliquota media (in luogo dell’aliquota marginale) e non subiranno il prelievo a titolo di addizionale regionale e comunale. Invece le somme di competenza dello stesso anno in cui sono rimborsate saranno assoggettate alla tassazione ordinaria. La stessa situazione si verificò in occasione della restituzione del contributo di solidarietà per gli anni 2011-2013.
SE CI SONO EREDI. Se il pensionato che ha diritto al rimborso è deceduto gli eredi legittimi potranno riscuotere i ratei maturati per effetto dell’adeguamento all’inflazione con obbligo di presentazione della dichiarazione di successione.
Ma per le donne la beffa arriva a 57 anni. Class action e gruppi facebook contro la circolare dell’Inps che congela i pensionamenti
ROMA Una class action per andare in pensione a 57 anni, Uno dei quei rari casi, almeno per l’Italia vista la legge molto restrittiva che regola questo tipo di “azioni collettive”, in cui oltre cinquecento donne si sono unite per chiedere al Tar del Lazio di uscire dal lavoro quando, oltre all’età, si riescano a raggiungere i 35 anni di contributi prima del prossimo 31 dicembre. Sì, perché il nodo sta proprio nella tempistica, con l’Inps che ha di fatto congelato questa possibilità alla fine dello scorso anno facendo scattare un moto di rabbia e, un comitato con tanto di gruppo Facebook che potrà raccogliere ancora adesioni fino alla fine di maggio. Il tutto accompagnato da una richiesta diretta al ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti. La possibilità di un pensionamento anticipato, ma con un assegno calcolato interamente con il metodo contributivo, sistema che fa perdere un bel po’ di soldi rispetto al retributivo (almeno il 20-25%), fu introdotta sperimentalmente dalla riforma Maroni nel 2004 e sarebbe dovuta andare avanti appunto fino al prossimo dicembre: 57 anni di età per le lavoratrici dipendenti, 58 per le autonome, con oltre 8mila donne che negli ultimi anni hanno scelto questa soluzione. Ma, come accade piuttosto frequentemente nel magmatico mondo delle pensioni, nel 2012 lo stesso Inps emanò due circolari: l’interpretazione della legge Maroni includeva da quel momento le“finestre mobili” (12 mesi per i dipendenti, 18 per gli autonomi) accorciando di fatto il termine della sperimentazione e lasciando così al palo migliaia di donne, molte delle quali rimaste senza lavoro a causa della crisi. «Si tratta di un’interpretazione arbitraria ed illegitima», scrivono nel ricorso gli avvocati del comitato Andrea Maestri e Giorgio Sacco: i due legali hanno anche colto l’occasione per ricordare le risoluzioni parlamentari che impegnavano il governo ad una correzione ed al ripristino di fatto della scadenza alla fine di quest’anno. Il comitato per l’Opzione Donna ha quindi presentato lo scorso ottobre la diffida all’Inps prevista dalla legge sulla class action, mentre l’istituto da parte sua ha continuato ad accettare domande in attesa di un’indicazione del ministro Poletti che però non è mai arrivata. Da qui, dopo i novanta giorni previsti per la diffida, la partenza dell’iter della class action.