Il «bottino» nel 2014 è stato pari a circa 15 miliardi. In linea con la crescita costante registrata dal 1999, anche l’anno scorso, secondo i dati dell’ultimo bollettino delle Entrate 2014, le addizionali regionali hanno superato gli 11 miliardi, +3,1% sul 2013, mentre quelle comunali, andando oltre i 4 miliardi, hanno registrato un + 6,9%. L’onda lunga della fiscalità locale anche quest’anno non accenna a placarsi, complici la crisi generale e le forbici di una spending review che continua a incombere sui bilanci.
Alle Regioni a statuto ordinario, cui la legge di Stabilità ha tagliato 3,5 miliardi, nel 2015 sarebbe consentito di aumentare l’aliquota fino a un tetto massimo del 3,33%, rispetto a un’aliquota base che è dell’1,23%. Sono due le Regioni che hanno deciso finora di avvalersi di questa possibilità: il Piemonte, che ha mantenuto cinque aliquote innalzando però la massima dal 2,33% (tetto massimo del 2014) al 3,33% per i redditi oltre i 75 mila euro. Gettito medio pro capite: 509 euro. Il Lazio ha ridotto le aliquote da tre a due: la prima è all’1,73%, la seconda è la massima (3,33%), un punto in più rispetto all’anno scorso, e riguarda tutti i redditi sopra i 28 mila euro, a meno che la Giunta non presenti nuove esenzioni per alcuni redditi. Il gettito medio pro capite nel Lazio sarà di 687 euro medi a contribuente.
In Liguria le aliquote saranno cinque: la prima, quella per i redditi fino a 15 mila euro, è l’unica a essere rimasta invariata (1,23%). Per tutte le altre fasce di reddito si registra invece un aumento: oltre i 75 mila euro si passa dall’1,73% al 2,33%. Gettito medio pro capite: 419 euro. In Abruzzo il passaggio da tre aliquote a una sola, l’1,73%, che era la precedente massima, comporterà un aumento del gettito. Stessa cosa per la Lombardia che ha ritoccato dall’1,73 al 1,74% l’aliquota sui redditi superiori ai 75 mila euro. In 13 Regioni il livello delle aliquote per ora è rimasto invariato, ma questo non vuole dire che non sia elevato. Otto Regioni registrano un gettito pro capite superiore alla media, che è pari a 389 euro. L’aliquota minima (1,23%) si applica «secca» solo in Veneto (289 pro capite), Val d’Aosta (294), Sardegna (262).
In tutto questo ci sono due Regioni che hanno ridotto l’imposta: Calabria e Molise a differenza dell’anno scorso, non applicheranno la maggiorazione dello 0,3% prevista per legge per le Regioni che sono sottoposte ai piani di rientro a causa del deficit sanitario. A meno che il prossimo confronto con il ministero dell’Economia non le induca a farlo, qualora tali piani di rientro non fossero convincenti. Alla stessa spada di Damocle sono sottoposte altre sei Regioni, Piemonte, lazio, Abruzzo, Campania, Umbria e Sicilia. In ogni caso tutte le Regioni hanno tempo fino a luglio per ripensare le aliquote.
Il capitolo dei Comuni è ancora più aperto: l’acconto 2015 si pagherà con l’aliquota prevista per il calcolo del saldo 2014. Le variazioni troveranno applicazione a saldo. Ma il miliardo e mezzo di tagli subiti con la spending review non promette niente di buono. Dei circa 170 Comuni che hanno già deliberato, secondo uno studio della Uil, il 20% ha aumentato l’aliquota. Bologna dallo 0,7% allo 0,8%. Roma che ha avuto, in quanto Capitale, la possibilità di andare oltre l’aliquota massima, portandosi allo 0,9% ha rivisto la soglia di esenzione, aumentandola da 10 mila a 12 mila euro. Un ritocco impercettibile nella città più tartassata d’Italia. E non si è ancora parlato di Tasi. Ma questo è un altro capitolo.