Iscriviti OnLine
 

Pescara, 24/11/2024
Visitatore n. 740.934



Data: 14/05/2015
Testata giornalistica: Il Centro
Bussi, processo al processo. Due giudici popolari avrebbero denunciato pressioni sul verdetto. Indagano Csm e Parlamento

PESCARA Il 19 dicembre 2014 il processo di Bussi si scioglieva con una sentenza di assoluzione per i 19 imputati della Montedison e con il reato di disastro doloso derubricato in colposo e caduto in prescrizione. Di fatto nessun responsabile, quindi. Cinque mesi dopo, è bufera su quel verdetto, dopo che un articolo del Fatto quotidiano ha riportato le voci di due donne della giuria popolare che, in via anonima, avrebbero detto al giornalista: «Non abbiamo mai letto gli atti del processo. Il giudice Camillo Romandini ci ha spiegato che se avessimo condannato per dolo, se poi si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarci personalmente chiedendoci i danni», avrebbe detto una delle due giurate riferendosi agli imputati. Romandini è il giudice che ha presieduto la Corte d'Assise e che, tirato in ballo in un contesto così scabroso, è pronto a tutelarsi in ogni sede, come riferisce l'interessato nell'intervista che pubblichiamo nella pagina a fianco. Ma adesso sul processo sulla mega-discarica di Bussi aleggia un inquietante interrogativo: ci sono state pressioni sui giudici popolari? Il Csm apre un'inchiesta. La domanda è rimbalzata da Pescara ai tanti avvocati di altre regioni che presero parte al processo, finendo sul tavolo del Csm con il vice presidente del Giovanni Legnini, che ha dato il via a un accertamento: «Le indagini e le valutazioni sulla vicenda sono state affidate alla Prima Commissione», ha precisato Legnini, aggiungendo che la decisione di intervenire è stata presa «dopo aver ricevuto una missiva dell’avvocato dello Stato Cristina Gerardis su quanto riferito dall’articolo». Nel frattempo anche il deputato Pd Alessandro Bratti, che presiede la Commissione sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e che già si stava occupando del caso di Bussi, così come di altri siti nazionali teatro di disastri ambientali, è pronto ad accendere un faro sul processo abruzzese: «Faremo un approfondimento anche su questo aspetto», dice il presidente della Commissione, «è chiaro che non rifaremo il processo, ma cercheremo di capire se ci sono state situazioni anomale». Da notare che, trattandosi di una Commissione bicamerale, l’organo presieduto da Bratti ha poteri d’indagine molto estesi, con la facoltà di acquisire atti e di ascoltare testimoni. Anche la procura di Pescara, con i pm Anna Rita Mantini e Giuseppe Bellelli, difficilmente resterà a guardare, perché aprire un fascicolo sarebbe inevitabile - per competenza poi passerebbe a Campobasso - così come potrebbe essere la stessa procura della città molisana a muoversi d’ufficio. Nulla è stato ancora formalizzato, ma è chiaro che dichiarazioni così gravi non potranno non avere strascichi, anche per le tante interrogazioni al ministro della Giustizia Andrea Orlando. Processo al processo. Sia da una parte che dall’altra la notizia di un giudice popolare che si sarebbe sfogata dicendo «no, non ero serena quando abbiamo emesso la sentenza» ha prodotto un effetto a catena con avvocati sbigottiti dalle dichiarazioni e con magistrati pronti a tutelarsi. Il processo ambientale più importante della storia dell’Abruzzo sembra così proseguire fuori dall’aula, quella in cui si era arenata con un’assoluzione e una prescrizione dei 19 imputati della Montedison. Una sentenza che, come accade in tutti i casi, aveva diviso facendo esplodere di gioia la pletora di avvocati del colosso milanese e lasciando perplessi i movimenti ambientalisti, sconfitti nella ricerca di dimostrare il dolo ai danni di un territorio devastato. L'ombra di pressioni indebite, adesso, riapre la ferita e la acuisce non solo nei cittadini di Bussi, ma nell’intera comunità abruzzese.

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it