Il Csm riapre il caso Bussi. La decisione è stata presa a seguito delle dichiarazioni di due giudici popolari riferite a presunte pressioni ricevute nel collegio di Corte d’Assise a Chieti a pochi giorni dall’emissione della sentenza. Pressioni che avrebbero tolto serenità nel giudicare i vertici Montedison per la mega discarica di rifiuti tossici e nocivi. Nella sostanza, i due hanno ammesso di non essersi riconosciuti nelle motivazioni della sentenza che ha mandato assolti tutti gli imputati, suscitando indignazione e sconcerto. Per il reato di avvelenamento delle acque la Corte aveva assolto tutti perché il fatto non sussiste e derubricato da doloso a colposo l'inquinamento, facendo scattare la prescrizione (l'accusa aveva chiesto invece condanne dai 4 ai 12 anni per i 19 imputati).
GERARDIS SCRIVE, IL CSM INDAGA
«E’ una vicenda da approfondire subito e con grande serietà - commenta Cristina Gerardis, uno degli avvocati dello Stato al tempo del processo Bussi e ora direttore generale della Regione Abruzzo, chiamata dal governatore Luciano D’Alfonso anche per il suo impegno in questa vicenda -. I fatti riferiti da fonti di stampa sono molto gravi: se ne renderebbe conto chiunque. Ma proprio per questo le autorità competenti devono verificarne la veridicità con tempestività». Considerazioni che la Gerardis ha poi messo nero su bianco in una lettera inviata proprio al Csm: l’apertura del fascicolo, infatti, è stata determinata «anche a seguito dell’invio di una missiva da parte dell’Avvocato dello Stato Cristina Gerardis» ha dichiarato Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm.
LA DECISIONE A CENA In un articolo, il Fatto Quotidiano ha fornito una ricostruzione della vicenda, coinvolgendo frontalmente il presidente del collegio, Camillo Romandini: stando alle dichiarazioni delle due giurate (che hanno mantenuto l’anonimato) avrebbe esercitato pressioni su di loro. In particolare ci sarebbe stata una cena informale con i giudici popolari, precedente alla camera di consiglio del 19 dicembre scorso, nella quale il presidente avrebbe fatto affermazioni che, se vere, comporterebbero una ferma presa di posizione da parte delle autorità competenti. «Ci ha spiegato - riferisce uno dei due giudici popolari - che se avessimo condannato per dolo, se poi (gli imputati ndr) si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarci personalmente chiedendoci i danni ed avremmo rischiato di perdere tutto quello che avevamo». I giudici popolari lamentano anche il fatto di non aver potuto leggere gli atti del processo (ma forse avrebbero dovuto esigerli) e di essere arrivati alla decisione finale senza una votazione.
«Da questo articolo di stampa emergono circostanze - aggiunge la Gerardis - che mettono in dubbio il fatto che il giudizio si sia formato in maniera limpida e questo preoccupa molto. Sono reati gravissimi che comunque possono essere giudicati anche da giudici non togati: ecco l'importanza dei giudici popolari che comunque possono formarsi una loro autonoma convinzione».
RICORSI IN CASSAZIONE Sia la procura (i pm Giuseppe Bellelli e Anna Rita Mantini), sia l'Avvocatura dello Stato, contro quella sentenza hanno proposto ricorso ma direttamente in Cassazione, ravvisando evidentemente vizi di legittimità visto che la Suprema Corte nei suoi giudizi non entra nel merito delle vicende processuali. Un giudizio pendente che, proprio alla luce di queste inquietanti dichiarazioni dei giudici popolari, potrebbe far decidere i giudici di Cassazione di rinviare tutto alla Corte d'Assise di Chieti per celebrare un nuovo processo.
Ma quali scenari potrebbero aprirsi dopo questo terremoto mediatico? La procura di Campobasso, competente per questioni che coinvolgono i magistrati, già sulla scorta della notizia criminis del giornale potrebbe aprire un fascicolo. Da seguire gli sviluppi dell’indagine formalmente già avviata dal Csm, sollecitata dalla Gerardis, per verificare la fondatezza o meno di quanto riferito dai giudici popolari. Nessun commento è stato rilasciato da Montedison.