ROMA Rinviare per decreto i rimborsi delle mancate indicizzazioni delle pensioni. Matteo Renzi non si è lasciato convincere dalle argomentazioni del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Tantomeno dai moniti di Bruxelles che pretende di sapere in fretta come l’Italia intende risolvere la questione. E così ieri pomeriggio il presidente del Consiglio, dopo l’ennesimo incontro con il ministro dell’Economia, è andato al Quirinale e ha spiegato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che «il peso finanziario della sentenza» è tale da «obbligare il governo» ad una attenta e rigorosa valutazione complessiva dell’impatto che i rimborsi possono avere sulla finanza pubblica. Una valutazione che, secondo il premier, non può che avvenire con la legge di stabilità di settembre.
SPALMARE Il decreto, che potrebbe essere varato nel Consiglio dei ministri di lunedì, dovrebbe servire a differire l’intera questione e a bloccare la mole di ricorsi in arrivo. Il braccio di ferro tra palazzo Chigi e via XX Settembre è comunque in corso. Padoan si è infatti molto speso a Bruxelles per tranquillizzare la Commissione, ma Renzi non intende farsi imporre scelte di politica economica così importanti né dall’Europa - che vuole siano contabilizzati gli eventuali esborsi nell’anno in corso e non spalmati sugli anni precedenti - né dalla Consulta.
Secondo Renzi il rinvio è possibile senza creare problemi a Mattarella con i suoi ex colleghi della Corte costituzionale. Una legge dello Stato, la 400 del 1988, vieterebbe al Parlamento di approvare norme che sospendono gli effetti delle pronunce della Consulta, ma la legge non tiene conto delle novità costituzionali in materia di pareggio di bilancio introdotte dal Parlamento a seguito dei trattati europei. Il richiamo al modificato articolo 81 della Costituzione che vincola il governo al pareggio di bilancio, sarebbe quindi il motivo principale dello slittamento, assieme alla necessità da parte dell’Inps di fare i conteggi con chirurgica precisione evitando, quindi, che si ripetano i pasticci degli anni scorsi. Dodici miliardi di euro, questo il potenziale impatto della sentenza, è una cifra che Renzi ritiene in grado di compromettere il mantenimento degli impegni che l’Italia ha preso con la Commissione. Non solo, legherebbe le mani dell’esecutivo visto l’impatto che gli aumenti avrebbero sugli anni futuri. Stretto tra la sentenza della Consulta e le possibili conseguenze di una qualsiasi scelta sulla campagna elettorale in corso in sette regioni, Renzi preferisce rinviare il tutto per poi effettuare un intervento unico e più approfondito, che magari arrivi al ricalcolo delle pensioni basato sulla contribuzione e non sulla retribuzione.
SALDI Raccontano che Mattarella avrebbe preso nota delle preoccupazioni del presidente del Consiglio riservandosi una valutazione finale quando il decreto verrà messo nero su bianco. Alle preoccupazioni elettorali del presidente del Consiglio si sommano infatti le richieste dell’Europa che si oppone ad una spalmatura dell’eventuale esborso sugli anni di competenza (dal 2012 al 2015) e che - per concedere una qualche di flessibilità - pretende il rispetto del rapporto deficit-pil previsto per quest’anno al 2,6%.
A sostenere la linea del rinvio è tutto lo staff dei consiglieri economici di palazzo Chigi mentre in via XX Settembre ieri si è lavorato fino a notte per proporre soluzioni immediate a basso impatto economico e politico (due miliardi e mezzo per alzare le pensioni ai redditi bassi), che però non sembrano aver ancora convinto il presidente del Consiglio.
E spunta l’ipotesi di restituire solo un anno di rivalutazione. Il decreto potrebbe limitarsi a congelare la situazione e fermare l’ondata di ricorsi. Ma il ministro dell’Economia insiste per una soluzione rapida e a basso costo. I CONTI
ROMA Un solo anno di rivalutazione restituita, sui due che erano stati cancellati dal governo Monti per le pensioni superiori a 1.405 euro lordi al mese. Alla ricerca di uno schema che minimizzi l’impatto finanziario della sentenza della Corte costituzionale, il governo esplora anche la possibilità di dimezzare il conto per questa via. Così sarebbe possibile applicare per l’anno residuo percentuali di adeguamento all’inflazione se non piene comunque ben più robuste di quelle che sono state ipotizzate. E quasi sul filo del paradosso verrebbe rispettata una delle condizioni indicate dalla Consulta al governo, autorizzato sì ad intervenire sul meccanismo della perequazione ma solo in via temporanea.
In queste ore in cui emergono con chiarezza le divergenze interne all’esecutivo sui tempi dell’operazione, le strutture tecniche del ministero dell’Economia e dell’Inps restano al lavoro sulle possibili soluzioni. Ed è stata presa in considerazione anche l’ipotesi di un rimborso parziale, da attuare attraverso la riduzione del periodo di riferimento.
I NUOVI RICORSI In base a questa impostazione, se sarà poi confermata, il 2012 potrebbe essere inteso come anno di blocco della rivalutazione, con le stesse modalità previste dal decreto salva-Italia (nessun incremento per i trattamenti superiori a tre volte il minimo Inps). Dal 2013 invece gli aumenti sarebbero riconosciuti, pur se non in pieno. Naturalmente per i pensionati l’anno “saltato” si trascinerebbe sui successivi in termini di minori importi, e simmetricamente il beneficio si prolungherebbe nel tempo per il bilancio dello Stato. In compenso, per così dire, il governo avrebbe la possibilità di riconoscere la perequazione ad una platea più ampia e in misura maggiore: una mossa che ha l’obiettivo di ridurre il numero degli scontenti, i quali sentendosi esclusi o quasi dall’applicazione della sentenza sarebbero propensi ad avviare ulteriori azioni giudiziarie. Proprio ieri l’avvocato Riccardo Troiano, che per conto di Federmanager e Manageritalia ha avuto ragione davanti alla Consulta, ha ricordato che «un intervento che preveda rimborsi solo ad alcune fasce di pensionati sarebbe illegittimo».
Le intenzioni dell’esecutivo sono state sommariamente esposte in commissione Bilancio del Senato dal viceministro dell’Economia Enrico Morando, che ha menzionato proprio i due criteri della temporaneità e della progressività richiesti dalla Consulta. Per concludere, senza dare particolari dettagli, che l’obiettivo è «fare presto ma bene, nel contesto della Costituzione in vigore che contiene anche il nuovo articolo 81, con il principio dell'equilibrio».
L’AUDIZIONE In Parlamento è intervenuto ieri anche il presidente dell’Inps Boeri, il quale si attende che la soluzione «sia basata sull’equità non solo tra chi ha di più e chi ha di meno ma anche tra chi ha avuto di più e chi è chiamato a dare di più ma avrà di meno». Boeri insomma è a favore di una qualche forma di contributo di solidarietà a carico delle pensioni più alte e meno legate ai contributi effettivamente versati, in modo da salvaguardare i più giovani. L’Inps, ha spiegato il presidente, è comunque pronto ad applicare il meccanismo che sarà scelto dall’esecutivo.