ROMA Nessun rinvio al dopo elezioni. Attendere non fa parte del Dna del premier Renzi. E così già nel consiglio dei ministri di oggi il governo illustrerà come intende risolvere il problema derivante dalla sentenza della Consulta sull’incostituzionalità del blocco delle rivalutazioni decise a suo tempo dall’esecutivo Monti. L’annuncio arriva dallo stesso Renzi ospite dell’Arena di Massimo Giletti su Rai 1: «Nessun pensionato perde un centesimo da questa vicenda» assicura il premier, che poi svela i primi dettagli della «nuova norma».
L’UNA TANTUM
La platea: almeno in questa prima fase, sarà costituita da «quattro milioni di italiani». Il quantum e la tempistica: «Avranno in tasca più o meno 500 euro a testa dal primo agosto». Tutti «quelli con oltre tremila euro di pensione» - spiega - per ora restano fuori. «Domani (oggi, ndr) presenteremo le simulazioni». Le risorse? Arriveranno dall’ormai mitico tesoretto: «Ci sono questi due miliardi che mi ero tenuto da parte per le misure contro la povertà». Un progetto quest’ultimo solo momentaneamente accantonato: «Lo faremo lo stesso» promette Renzi, il quale rifiuta di polemizzare con la Consulta: «La Corte è l’ultima istanza. La si accetta». Non che la sentenza gli abbia fatto piacere, certo, ma all’attacco personale non ci crede: «Non è una sentenza politica».
In ogni caso - fa capire - la sentenza non sarà lo scoglio che arresterà l’azione riformatrice del governo, né attenuerà la sua fiducia nel fatto che «l'Italia ce la possa fare». «Se pensiamo a come eravamo messi un anno fa - osserva - vedo qualche segnale positivo: una parte dei lavoratori che erano precari ora sono stabili, tornano gli investitori stranieri e il Pil ha svoltato, cambiato direzione». Una mano alla ripresa arriverà anche da una rinnovata spinta alle infrastrutture. A questo proposito Renzi ha promesso il completamento del simbolo per eccellenza delle opere infinite in Italia, la Salerno-Reggio Calabria: «Al massimo il prossimo anno finalmente la finiamo». Intanto oggi sarà il giorno del cambio alla guida dell’Anas.
OPPOSIZIONI SPIAZZATE
L’annuncio del provvedimento sul nodo pensioni, spiazza un po’ tutti. Era proprio quella che voleva il premier: «Hanno detto che non intervenivo sulle pensioni per paura delle regionali. Ma uno che guida un Paese non può avere paura delle elezioni». Lui non ne ha, tiene a far sapere. E l’obiettivo - dice - è quello di vincere «in tutte e 7 le Regioni. É difficile ma il Pd ora ci ha preso gusto a vincere». Poi ridimensiona: «I miracoli non esistono».
Intanto, come prevedibile, arrivano una montagna di reazioni. Le opposizioni puntano il dito contro la restituzione solo parziale. «Non è una cosa corretta, dopo la sentenza della Consulta tutti i pensionati devono vedersi restituiti i soldi» dice Silvio Berlusconi. A fare i calcoli, gridando all’«imbroglio inaccettabile» ci pensa Renato Brunetta, presidente dei deputati forzisti: «Ai pensionati spettano 3.000 euro a testa, per un totale di 18 miliardi, e Renzi vuole restituire 500 euro solo ad alcuni e non a tutti, per un totale di 2 miliardi: quindi ne ruba 16». La Lega Nord, con il segretario Matteo Salvini, minaccia «barricate in Parlamento» e grida all’«indegna mancetta», all’«elemosina». Di «carità pelose per vincere le elezioni» parla anche il presidente Adusbef, Elio Lannutti, che insieme a Federconsumatori annuncia ricorsi a raffica. Meno ostile invece l’accoglienza da parte del fronte sindacale. «Meglio che niente» commenta la Uil, pur chiedendo di più. E anche in casa Cgil sono costretti ad ammettere: «Bene che si cominci ad affrontare il problema dalle pensioni medio-basse». Però - avverte Carla Cantone, numero uno dello Spi-Cgil (la categoria dei pensionati) - Renzi non se la può cavare solo con un bonus una tantum. La questione aperta non può finire nè qui nè così».
Entro gennaio scatta la rivalutazione definitiva degli assegni. Ma con l’una tantum il recupero sarà inferiore al 50% delle somme perse. I CALCOLI
ROMA Non 500 euro uguali per tutti, ma somme decrescenti secondo una scaletta che si esaurisce intorno ai 3 mila euro mensili lordi. La soluzione al caso pensioni a cui ha fatto riferimento il presidente del Consiglio Renzi rispecchia sostanzialmente lo schema a cui avevano lavorato nei giorni scorsi i tecnici del ministero dell’Economia e dell’Inps, ma in una versione se possibile ancora più ristretta. Il costo per le casse dello Stato sarà limitato a 2 miliardi, che con una piccola approssimazione per difetto corrisponde all’importo del “tesoretto”, ovvero la differenza (pari allo 0,1 per cento del Pil) tra deficit il deficit tendenziale e quello programmato. Non ci sarà così bisogno, se non in via residuale, di attingere ad altre voci quali gli introiti del rientro dei capitali.
VANTAGGIO FISCALE Per i pensionati però questo significa che la somma percepita, sia come una tantum per gli anni passati sia poi in via definitiva ogni mese - probabilmente dal 2016 - sarà sensibilmente più piccola di quella a cui sulla carta avrebbero avuto diritto, con la parziale cancellazione di un comma del decreto salva-Italia ed il ritorno alle più favorevoli previsioni precedenti. Il taglio sarà superiore al 50 per cento e via via più incisivo al crescere del reddito. Per avere un’idea basta ricordare che una pensione di circa 2 mila euro lorde mensili, pari a poco più di quattro volte il minimo Inps e dunque non proprio elevatissima, nel triennio 2012-2014 ha perso quasi 2.500 euro netti di rivalutazione: incassandone 500 recupererebbe circa il 20 per cento. Mentre una di 1500, dunque appena al di sopra della fascia a suo tempo “graziata” dal governo Monti, ha subito una mancata rivalutazione di quasi 1.900 euro nei tre anni: anche ipotizzando che ne possa avere ora 800-900 si arriverebbe a stento alla metà. L’unico aspetto che gioca a favore dei cittadini coinvolti è quello fiscale: le somme percepite a titolo di arretrato vengono infatti tassate con un meccanismo più favorevole, opzione che il governo confermerà in questa occasione: invece dell’aliquota Irpef marginale si applica quella media degli anni precedenti: come ha evidenziato recentemente l’Ufficio parlamentare di bilancio, per un trattamento pensionistico poco al di sopra di tre volte quello minimo vuol dire pagare un’imposta intorno al 19 per cento, invece che superiore al 30.
I TEMPI TECNICI Lo schema e le percentuali applicati per l’erogazione una tantum degli arretrati saranno usati anche per l’adeguamento, ugualmente parziale, delle pensioni future, che recupereranno così d’ora in poi un pezzetto dello “scalino” perso con il decreto salva-Italia. Su questo aspetto si è concentrato fino all’ultimo, nella serata di ieri, il confronto tecnico. Due le ipotesi in campo: considerare l’una tantum come relativa all’intero quadriennio 2012-2015, facendo decorrere gli aumenti a regime dal primo gennaio 2016; oppure limitare il suo effetto al 2014 e procedere da quest’anno anche agli adeguamenti definitivi. La seconda pareva destinata a prevalere, ma in ogni caso c’è la necessità di reperire risorse aggiuntive per gli anni a venire, pur se limitate: sarà fatto inevitabilmente con la legge di Stabilità che il governo inizierà a preparare a settembre. Infine la data del primo agosto indicata dal premier: due mesi e mezzo di tempo servono all’Inps per ricostruire l’evoluzione delle posizioni previdenziali interessate dal 2011 a oggi e calcolare per ciascuno la somma spettante.