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Pescara, 24/11/2024
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Data: 20/05/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Previdenza. Assegni bassi premiati dai mini-aumenti. Limitano la perdita sugli arretrati i trattamenti fino a 2.000 euro lordi. Ma gli incrementi a titolo definitivo non vanno oltre i 14 euro netti al mese.

ROMA Gli ultimi dettagli sono ancora in via di aggiustamento. L’importo dell’una tantum viene calibrato in base alla data di decorrenza del nuovo adeguamento delle pensioni, settembre 2015 o piuttosto gennaio 2016. Ma l’impianto del decreto legge del governo, che pure non ha ancora ufficialmente visto la luce, è ormai piuttosto chiaro. Può essere guardato da due punti di vista. Se si confronta ciò che accadrà nei prossimi mesi con lo scenario precedente alla sentenza della Corte costituzionale, allora i pensionati che nel 2011 avevano un assegno tra 1.500 e poco meno di 3.000 euro lordi, e che poi per due anni avevano visto l’importo totale inchiodato alla stessa cifra (o intaccato dalle maggiori imposte), possono mettere nel conto una piccola una tantum ad agosto e poi risicati ma definitivi aumenti. Insomma il bilancio sarebbe tutto sommato positivo, anche se qualcuno potrebbe sentirsi un po’ preso in giro dall’esiguità dei numeri. Ma se invece gli stessi pensionati, andando anche al di là delle motivazioni della Consulta, considerano i giudici alla stregua di giustizieri che hanno ripristinato un diritto violato, saranno naturalmente portati a paragonare gli incrementi promessi da Renzi con le cifre perse in questi anni rispetto all’applicazione delle piena perequazione (che poi totalmente piena non è, ma in base alla legge del 2000 può scendere al massimo al 75 per cento per gli scaglioni di pensione oltre cinque volte il minimo). In questo caso, non vince nessuno: a parte coloro che avendo un trattamento 2011 sotto i 1.405 euro avevano già ottenuto la rivalutazione al 100 per cento - e dunque non sono toccati né dalla sentenza né dal decreto del governo - tutti gli altri possono solo ragionare di perdite maggiori o minori ma comunque consistenti, visto che la percentuale di adeguamento all’inflazione parte da un modestissimo 20 per cento per poi scendere al 10 e al 5. In questa prospettiva, che non tiene conto degli effetti sul bilancio dello Stato di un ritorno al passato, i più arrabbiati saranno coloro che avendo un trattamento superiore ai 2.800 euro lordi mensili non recuperano proprio nulla.
IL CONGELAMENTO
Riescono in qualche modo a limitare i pensionati con gli importi più bassi, tra quelli a suo tempo interessati dal congelamento dell’indicizzazione. Così ad esempio chi nel 2011 aveva un trattamento mensile lordo di 1.500 euro (circa 1.270 netti) avrebbe maturato tra gennaio 2012 e agosto di quest’anno maggiori introiti pensionistici per circa 2.350 euro in termini netti. Con l’una tantum appena annunciata, mette insieme 682 euro lordi. A questo punto il fisco gli dà un piccolo vantaggio: mentre sulle somme virtualmente perse nei mesi precedenti avrebbe pagato l’Irpef con un’aliquota marginale effettiva superiore al 30 per cento, più le addizionali regionale e comunale, sulle somme arretrate si vedrà applicare una tassazione separata, basata sull’aliquota media (e non marginale) dei due anni precedenti. Si può ipotizzare che si aggiri intorno al 15 per cento: l’importo netto degli arretrati scenderà quindi poco al di sotto dei 600 euro. Il saldo resta comunque negativo per quasi 1.800 euro. Da settembre però (o al più tardi da gennaio 2016) il pensionato avrà un aumento netto di 12 euro mensili, che ne valgono 153 l’anno.
LA BASSA INFLAZIONE
L’importo della perdita virtuale - ovvero della differenza tra arretrati teoricamente persi e una tantum riconosciuta - sale via via al crescere della pensione (con qualche piccola oscillazione) fino a raggiungere e superare i 3.000 euro in corrispondenza dell’importo di pensione lorda (2.800 euro mensili) oltre il quale i benefici si annullano. Sono graduati in modo simile gli aumenti definitivi della pensione: toccano l’importo massimo di 14 euro netti al mese a quota 1.800 di pensione per poi scendere ai 5 di chi ne aveva una da 2.800. Più su la variazione sarà pari ad un malinconico zero, per quanto riguarda la “partita” del decreto salva-Italia: naturalmente questi pensionati saranno invece interessati il prossimo anno, come lo sono stati nel 2015, dalla successiva rivalutazione che però negli ultimi tempi è risultata anch’essa - di fatto - quasi azzerata: non da un provvedimento del governo ma dalla bassissima inflazione contro cui si batte la Bce.

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