MILANO Al governo non ha da chiedere «alcunché», nessuna lamentazione o recriminazione, salvo lo stimolo, forte, a «non smarrire la determinazione» di cambiare il Paese. Ai sindacati, invece, Giorgio Squinzi, ha richieste precise da fare: la più importante, «mettere ordine nelle regole della contrattazione», rivedendo i due livelli contrattuali così da «rendere più forti e stringenti i legami fra la dinamica dei salari e miglioramenti della produttività».
Alla sua ultima relazione all’assemblea annuale da presidente di Confindustria (è iniziato il quarto conclusivo anno di mandato) Giorgio Squinzi ha voluto stupire un po’ tutti. È straordinaria la location: l’Auditorium dell’Expo a Milano. È insolito il suo totale apprezzamento per l’azione di questo governo. Dopo il gelo iniziale, è vero, negli ultimi mesi c’erano già state timide aperture. Ma stavolta è diverso, l’appoggio è ad ampio spettro. Non solo il Jobs act, la decontribuzione sui nuovi assunti, il taglio dell’Irap. «Qualcosa e non poco, si muove e sta cambiando» riconosce Squinzi: «Ci sono segni di risveglio, accenni di crescita che ci confortano, ma il crinale tra crescita e stagnazione è assai sottile, perciò i germogli del cambiamento che si vedono - sottolinea il leader degli industriali - vanno protetti e difesi, aiutati a crescere da un sistema associativo saldo». I tre ministri in prima fila (Sviluppo Economico, Lavoro, Agricoltura) annuiscono compiaciuti. Peccato che Renzi non sia lì ad ascoltarlo (è a Melfi con Marchionne, ai confindustriali ha inviato una lettera).
LA DELUSIONE EUROPA
È inusuale questa relazione di Squinzi anche relativamente ad altri due punti: l’Europa; la denuncia della persistenza in Italia di un forte sentimento anti-impresa. Nel primo caso è lo stesso presidente di Confindustria, da sempre europeista convinto, ad ammettere «il rammarico» per le sue parole: «A questa Europa manca l’anima e il cuore. Non è l’Europa che mi piace». E’ un’Europa dove al «progetto politico e alla visione» si è fatto prevalere «il rigorismo eccessivo». C’è poco da stupirsi quindi se dilaga lo scetticismo. I rischi di una frammentazione «sono enormi» e a pagarli – mette in guardia – sarebbero soprattutto le economie più fragili. Urge quindi «un colpo d’ala» con il via ad una nuova epoca di investimenti infrastrutturali, materiali e non.
I CAMPIONI NAZIONALI
In questo scenario l’Italia può assumere un ruolo leader, perché «ha fatto sforzi notevoli per mettere a posto i propri conti e realizzare riforme importanti». Ora deve puntare sui suoi campioni, quelle multinazionali tascabili che hanno dimostrato di saper reggere ai terremoti economici. «Qui è la chiave italiana per svoltare». Ma occorre sconfiggere quella «cultura anti-industriale ben radicata» che ancora considera l’imprenditore «nemico della collettività». Si rivolge a una parte del sindacato Squinzi, ma anche al governo, a quella sua «manina anti–impresa» esercitata «ogni tanto nelle pieghe dei provvedimenti». I reati ambientali, il falso in bilancio, il canone sugli imbullonati o la Tasi sull’invenduto: Squinzi snocciola l’elenco degli «assurdi». Poco dopo sul palco sale Federica Guidi, il ministro per lo Sviluppo Economico che Renzi ha pescato proprio nelle file degli imprenditori. E la Guidi assicura: nessuna diffidenza verso le imprese, anzi. Ai provvedimenti pro competitività e produttività già varati, ne seguiranno altri (da ieri è operativo il credito di imposta per la ricerca). L’obiettivo è un Paese «senza freno a mano tirato». Ma una volta tolte le zavorre e propiziato il vento - conclude – «le vele dovete mettercele voi».