ROMA «Stiamo esaminando la flessibilità in uscita ma i diritti acquisiti tali restano e i veri diritti acquisiti sono quelli basati sul contributivo». Il tema pensioni resta in primo piano nel dibattito politico e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan chiarisce il suo punto di vista sui possibili interventi attraverso i quali correggere l’impianto della riforma Fornero. Parlando a Trento al Festival dell’Economia, il titolare del dicastero di Via XX Settembre ha dunque voluto tenere ben distinto il metodo contributivo, esteso a tutti i lavoratori per il calcolo dei trattamenti, da quello retributivo ormai accantonato per le generazioni presenti e future ma ancora valido per chi è andato a riposo prima della riforma. Tuttavia il ministro ha sottolineato che i suoi ragionamenti «non hanno implicazioni sulla riflessione in corso».
I CALCOLI
Una precisazione che conferma la linea indicata alcuni giorni fa da Giuliano Poletti. «Il ricalcolo delle pensioni con il solo metodo contributivo - aveva affermato il ministro del Lavoro - non è sensato, non è logico. Si tratterebbe di un meccanismo meccanico. Non è ragionevole, perché si interverrebbe anche sulle pensioni più basse». Padoan ha spiegato che, rispetto alla riforma Fornero, «non c’è alcun rischio di passi indietro, ma la possibilità di considerare forme di flessibilità in uscita, per uscire con minimo anticipo dal mondo del lavoro, non eccessivo, in cambio di una prestazione pensionistica adeguata». Una scelta che, ha garantito l’esponente di governo, «potrebbe anche facilitare l’ingresso per le giovani generazioni». Un ragionamento, quest’ultimo, condiviso anche da Poletti. «Affronteremo il problema a partire dall’esigenza di dare una opportunità ai giovani». Come si procederà per introdurre elementi di flessibilità in uscita nel sistema previdenziale? «Ne parliamo a ottobre, lo faremo con la legge di stabilità» ha tagliato corto Poletti. Una prudenza dettata dalla necessità di procedere senza fretta e, soprattutto, solo dopo aver blindato i conti pubblici. Tuttavia le ipotesi sulle quali lavora Palazzo Chigi sono già abbastanza delineate. Già dalla prossima settimana, in Parlamento, si aprirà il dibattito sulla flessibilità, partendo in particolare dalle proposta avanzata dal Pd che prevede l’uscita anticipata a partire da 62 anni con penalizzazioni del 2% all’anno fino a un massimo complessivo dell’8%. Questo meccanismo contempla anche l’uscita anticipata per chi abbia raggiunto 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica, e senza penalizzazioni. In campo resta anche la soluzione del cosiddetto prestito d’onore. Un metodo del quale, su base volontaria, potrebbero usufruire i lavoratori ai quali mancano pochissimi anni per andare in pensione. Supponendo che ad un lavoratore manchino due anni per raggiungere l’età pensionabile, l’interessato potrebbe lasciare anticipatamente il lavoro, senza andare in pensione, ma incassando comunque un assegno di valore pari ad una determinata percentuale del suo vecchio stipendio: ad esempio l’80%. In questo caso sarebbe l’Inps, con un contributo dell’azienda, a coprire l’anticipo. Una volta maturati i requisiti per il pensionamento, il lavoratore comincerebbe ad incassare il suo assegno previdenziale, che verrebbe però tagliato in modo da restituire il prestito precedente.
Intanto anche il presidente dell’Inps, Tito Boeri, è intervenuto nel dibattito. «Le pensioni sono basate su patto intergenerazionale, che ora è incrinato. Se il patto non è equo, non riesce a reggere» ha ammonito Boeri. Il quale si è detto convinto che «qualche aggiustamento, non per problema di cassa, ma di equità deve essere fatto. I diritti acquisiti - ha argomentato il numero uno dell’Inps - sono riferibili alla contribuzione e questo legame va tutelato: garantire che tutto ciò che versato non verrà toccato da nessuno è fondamentale».